Il tweet di Toti sugli anziani e sulla loro presunta inutilità di fronte al sistema produttivo si è preso la scena per un tempo ragionevolmente lungo, che neanche – di questi tempi – i cinguettii dei negazionisti col pedigree dello spettacolo. Perché è naturale, umano, ovvio che una comunicazione che ruota attorno alle morti per Covid e si focalizza sugli anziani definendoli “non indispensabili” susciti – nell’ordine – incredulità, nervosismo, sdegno e rabbia. Toti ha chiesto scusa, ma le scuse non basterebbero a liquidare una questione così enorme. Il problema, però – ed è un modernissimo problema – è che la questione a guardare bene i fatti non è questa, e sulla portata di quelle scuse, alla fine dei giochi, si potrebbe pure discutere.
I fatti sono noti: sul profilo Facebook di Toti è stato pubblicato un testo nel quale il focus era sì sugli anziani, ma non sul concetto di “non indispensabili” bensì su quello di “più fragili e da salvaguardare”. Il tema della non produttività, che in questo post è pure presente, appare più che altro propedeutico ad una richiesta di tutela che va al di là degli ospedali, un po’ come dire “ok, non è che ora fanno crescere il Paese, ma questo non vuol dire che dobbiamo metterli in fondo alla scala delle priorità, perciò prendiamocene cura partendo da casa” (almeno: io lo leggo così). Contestualmente sul profilo Twitter dello stesso Presidente della Regione Liguria è apparso il tweet che ha scatenato il putiferio, ma che – come spiegato dallo stesso Toti – avrebbe dovuto esprimere lo stesso concetto del post su Facebook, rendendolo sintetico così come richiesto dalle norme sulla lunghezza dei testi.
È evidente, quindi, che chi cura la comunicazione per Toti ha fatto un errore da penna rossa: probabilmente – ipotizziamo – il Presidente ha chiesto (a chi produce per iscritto i concetti che vuole comunicare) di pubblicare quel tipo di pensiero sulla salvaguardia degli anziani, e questo è stato fatto correttamente, ma chi poi ha il compito di far circolare quel pensiero su tutti i canali social adattandolo alle esigenze degli stessi ne ha completamente sbagliato l’interpretazione o, perlomeno, l’intonazione, il modo di comunicarlo, liquidando il reale pensiero del Presidente con appena quattro parole sul fondo, quel “che vanno però tutelate” suonato a tutti come il tentativo di ammorbidire un concetto terribile.
A grandi linee la comunicazione istituzionale funziona come appena spiegato – credo sia bene sottolineare che questo è un aspetto che fa parte del mio mestiere, non sia mai si crocifigga pure me col marchio di ignorante prezzolato – e gli ingranaggi che la compongono a livelli alti come quelli su cui è accomodata una Presidenza di Regione diventano molti, col rischio che in momenti convulsi come quelli scanditi da una pandemia facciano passare sottotraccia errori evidenti come questo, lasciando che esplodano sul web e costringendo poi il comandante in capo a mettere la faccia sopra un impietoso sottopancia che recita “arrivano le scuse del Presidente”. Ora: non sto scrivendo questo per difendere il politico, non ne avrei motivo, ma per cercare di riflettere sui rischi che corre il sistema istituzionale, a qualsiasi livello.
Il Presidente della Regione Liguria è stato messo in croce perché quel tweet lo bolla come ammassatore di vecchi nei lager, ma la sua reale colpa è di aver ignorato uno dei passaggi che si sommano per far uscire quello che vuole comunicare. Sì, è possibile dibattere concentrandoci sul concetto espresso da un Presidente di Regione di proteggere gli anziani chiudendoli in casa, ma questo va al di là della necessità di imbastire un processo per l’assurda traduzione di un messaggio certamente discutibile (cioè: non facciamo uscire gli anziani per non riempire gli ospedali) in concetto terribile (cioè: gli anziani sono improduttivi e se muoiono di Covid amen). Certo, dovremmo riflettere sul fatto che, per la sua storia personale, Toti dovrebbe sapere bene quali sono i rischi che corre un atteggiamento come quello che ha permesso di fatto che accadesse tutto questo, e dovrebbe pure riflettere bene su chi lavora per lui, sul fatto che un suo sottoposto è capace di far uscire una frase come quella apparsa su Twitter senza rendersi conto che sotto il profilo della comunicazione il testo composto è completamente sbagliato.
Ma il problema sta nel fatto che abbiamo reagito a quel tweet di pancia e solo di pancia: l’intero sistema della comunicazione istantanea ha di fatto riversato un oceano di bile sulla Presidenza della Liguria senza considerare il quadro nella sua totalità, continuando poi a rovesciarla anche quando il chiarimento è arrivato. L’assenza di una reale, sana, necessaria riflessione sta diventando fumo denso nella comunicazione, intossicando i dialoghi, avvelenando i dibattiti, oscurando i chiarimenti che spesso sono determinanti nel far passare o meno un concetto, una proposta, un’idea. Questa di Toti è la rappresentazione emblematica del rischio che corre a gran velocità la nostra contemporaneità: il giudizio lapidario, senza spazio per la riflessione, è la mano che stringe il cappio al collo della democrazia, e non possiamo permetterci di accarezzarla.
Il compito di chi racconta i fatti, di chi fa circolare le notizie, è anche – e forse soprattutto – quello di far circolare la chiarezza, di spingerla anche negli spazi stretti del dissenso aprioristico. Senza la verità sostanziale dei fatti il mondo rischia di sprofondare in un abisso di rabbia e totale diffidenza, e non è possibile lasciar passare tutto questo senza intervenire.
Seba Ambra -ilmegafono.org
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