Oggi Giancarlo Siani avrebbe avuto 61 anni. Ci piace immaginarlo con molti meno capelli e con il fiume in piena dei suoi pensieri ancora vivo nel suo sguardo, quello di chi ha sempre affrontato con coraggio e speranza il male della propria terra. Probabilmente lui non si sarebbe mai definito un eroe, anzi avrebbe rifiutato l’idea stessa di un paese così marcio da aver bisogno di eroi. Giancarlo era nato a Torre Annunziata, terra di camorra, e fin da giovane si era sempre interessato al giornalismo con l’ambizioso sogno di raggiungere un impiego definitivo senza scendere a compromessi, cercando sempre di raccontare la verità fino in fondo.
In quegli anni, a cavallo tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio del decennio successivo, il sogno di Giancarlo era pura utopia. In quell’area comandava il clan Nuvoletta, alleato storico dei corleonesi, che con la connivenza delle amministrazioni locali regnava incontrastato nella zona a nord della provincia di Napoli. In questo contesto Giancarlo Siani, ancora 19enne, iniziò a coltivare il suo sogno scrivendo per alcuni periodici locali di cronaca passando poi a lavorare per Il Mattino, occupandosi di cronaca nera e dunque di camorra. Fu in quegli anni che Giancarlo capì che non sarebbe mai più riuscito a voltarsi dall’altra parte, che non avrebbe mai potuto chiudere gli occhi su quello che accadeva sotto il naso di tutti e forse realizzò anche che la sua vita sarebbe stata tanto preziosa quanto breve.
I suoi articoli infatti risultavano spesso piuttosto ficcanti, ponendo domande che mettevano in dubbio la credibilità delle istituzioni e descrivevano come la mano invisibile dei clan rendesse schiava la sua città. Durante questi anni collaborò anche con il periodico “Osservatorio sulla Camorra”, diretto da Amato Lamberti e reperì informazioni su appalti truccati svelando in quale modo la politica e il malaffare scendevano a compromessi.
Infine, in uno dei suoi articoli, aveva raccontato della soffiata fatta dal clan Nuvoletta che aveva portato all’arresto del boss Valentino Gionta, il quale era noto per la sua particolare intemperanza. Con la pubblicazione di questo articolo Giancarlo Siani firmò la sua condanna a morte, visto che i fratelli Nuvoletta, infastiditi dalle “accuse” di aver collaborato con le forze dell’ordine, ordinarono, con l’avvallo dei corleonesi, l’esecuzione del giornalista, che avvenne inesorabilmente il 23 settembre del 1985. Aveva 26 anni Giancarlo quando fu freddato con 10 colpi di pistola, mentre era a bordo della sua amata Mehàri, iconica auto esposta ancora oggi al palazzo delle arti a Napoli, come simbolo di libertà e legalità. Nel 1997 i responsabili del suo assassinio sono stati consegnati alla giustizia al termine di un processo durato 12 anni.
Il suo sacrificio non è stato vano e il suo spirito rivive in chi oggi esercita la sua professione in piena libertà e a schiena dritta. Le associazioni criminali, tuttavia, non hanno smesso di cercare di imbavagliare la stampa: basti pensare che nel 2019 sono stati 472 i giornalisti minacciati secondo l’osservatorio “Ossigeno per l’informazione” e sono 20 i giornalisti che attualmente vivono sotto scorta in Italia. Uno scenario da non prendere sotto gamba perché si preservi l’eredità che Giancarlo, insieme ad altri grandi giornalisti, ci ha lasciato.
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
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