C’è aria di tempesta nel panorama politico e antimafioso siciliano. Spirano nuovi venti di polemica, questa volta tra Rosario Crocetta, ex governatore della regione, e Claudio Fava, presidente della Commissione antimafia all’ARS. Recentemente Crocetta ha ricevuto un invito dalla Commissione presieduta da Fava ad essere udito per dei chiarimenti circa lo scioglimento per mafia del Comune di Scicli. Un invito che, però, l’ex governatore ha risolutamente declinato. L’iniziale motivazione fornita da Crocetta era che, trovandosi all’estero in questo delicato periodo di emergenza sanitaria, gli sarebbe venuto davvero complicato recarsi in Commissione poiché avrebbe dovuto sottoporsi ad una doppia quarantena. In considerazione dell’effettiva complessità della situazione gli erano state fornite altre due possibilità: deporre in videoconferenza (metodo fortemente utilizzato in questo particolare periodo storico ) o una audizione telefonica.
Entrambe le proposte sono state tuttavia rifiutate dall’ex governatore che ha addotto, con riferimento alla prima, problemi di connessione internet e, successivamente, un più generico bisogno di “non litigare con nessuno”. Crocetta ha inoltre aggiunto di non sapere nulla e di voler essere “lasciato in pace”. Maggiore disponibilità al dialogo l’ha poi dimostrata durante una conversazione telefonica con un giornalista de “La Sicilia”, Mario Barresi, da lui contattato. Nel corso dell’intervista, il politico ha dichiarato di non voler sfuggire all’antimafia bensì ad una commissione che ritiene politicizzata e delegittimata al suo interno. “Non ci vado – ha dichiarato -, non dico no all’Antimafia, ma all’Antimafia politicizzata di Fava. Il problema è solo lui”.
Dietro sollecitazione del giornalista, Crocetta ha anche parlato di Lumia individuandolo come causa del suo rapporto conflittuale con il maggiore esponente della Commissione antimafia regionale. “Fava lo considera il suo nemico numero uno – ha detto – e, per la proprietà transitiva, attacca anche me”. “Con Lumia- ha aggiunto Crocetta – ho un vecchio legame. Fu l’unico che mi difese quando la mafia mi voleva ammazzare a Gela. Mi accusano di aver fatto politica con Lumia – ha concluso – e che male c’è? Era il mio consigliere politico, un presidente della Regione non può averne uno? Qual è il reato?”. Frasi al vetriolo e nessuna intenzione dunque di fare un passo indietro e mettersi a disposizione della Commissione che, è bene ricordarlo, non lavora per assecondare i capricci del suo presidente bensì per far luce su eventuali fatti delittuosi avvenuti.
Ad onor del vero, inoltre, non è la prima volta che Rosario Crocetta declina gli inviti della stessa Commissione. Nell’ottobre 2018 non si presentò, infatti, ad una seduta di indagine conoscitiva sul “caso Montante” al quale era stato invitato. Fece pervenire, in sua vece, una missiva nella quale comunicava di trovarsi, anche in quel caso all’estero. Non tardò la secca smentita del presidente Fava. “Apprendo – scrisse – nel ricevere la sua risposta alla nostra comunicazione, che Ella si trova in Italia, a Palermo, e più precisamente nel ristorante dell’Ars. Nel segnalarle il mio disappunto per questa sua comunicazione già smentita dai fatti, prendo atto che non intende accogliere l’invito di questa Commissione“.
Un rapporto già fortemente conflittuale che non poteva che peggiorare in seguito alle recenti dichiarazioni di Crocetta. Claudio Fava ha risposto senza mezzi termini, dichiarando che la sua Commissione è scomoda, considerata “rompicoglioni” per il semplice fatto di porre domande macchiandosi del reato di lesa maestà. Il presidente ha continuato duramente definendo Crocetta un “vassallo”, “piegato a certi interessi”, che adesso teme di pagare caro il prezzo della propria “fragilità politica”. Ha poi orgogliosamente rivendicato l’operato della Commissione da lui presieduta e rimandato al mittente le accuse inerenti la proprietà transitiva dell’inimicizia spiegando di non avere nemici numeri uno, ma di considerare Lumia “un elemento bizzarro ed inquietante del folclore politico locale”. “Quando si risponde con gli insulti – ha inoltre dichiarato – significa che non si hanno argomenti e magari quando si rifiuta un’audizione si ha paura di sentirsi fare domande scomode”.
Delle conclusioni che, purtroppo, appaiono certamente condivisibili soprattutto se indirizzate ad un volto che per anni ha rappresentato la lotta alla mafia e la speranza (o la mera promessa) politica di un effettivo cambiamento in direzione della legalità. Da un simbolo del genere ci si aspetterebbe totale collaborazione alle indagini volte al reperimento della verità, e la responsabilità personale, prima ancora che politica, di fare tutto il possibile per fugare dubbi e perplessità. Inoltre, se è vero che il nemico del mio nemico è mio amico, laddove due nomi dell’antimafia, piuttosto che lavorare in sincrono per il perseguimento della giustizia, battibeccano aspramente, è inevitabile che l’unico vero vincitore sia il loro nemico in comune: la mafia.
Tutte queste polemiche, infatti, non solo rischiano di ritardare o, nel peggiore dei casi, di pregiudicare definitivamente il reperimento della verità e della giustizia (il Sindaco di Scicli venne pienamente assolto dalla Cassazione) ma, circondando i due protagonisti con una coltre di accuse reciproche e sospetti, agitano il fronte della lotta alla mafia, delegittimandola un po’ e, in definitiva, facendo sorridere e gioire la criminalità organizzata, ossia il vero nemico da combattere.
Anna Serrapelle-ilmegafono.org
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