Ci è voluto tempo per arrivare finalmente quantomeno a discutere dell’orrore lasciato in eredità dal precedente governo. Ci sono voluti mesi, sollecitazioni, critiche, proteste, piazze per ricordare alla versione rinnovata di Conte e alle rimescolate forze di maggioranza che le parole non servono a salvare vite e sanare ingiustizie. I decreti sicurezza, o meglio le due leggi partorite da quei decreti, sono ancora lì a produrre effetti nefasti e caos, mentre la maggioranza discute e litiga sulle modifiche da apportare e sui tempi. Il governo, adesso, sembra voler intervenire, almeno per dare ascolto ai rilievi che il presidente Mattarella, in occasione della promulgazione del decreto sicurezza bis (legge 77/2019), aveva fatto.
Rilievi che riguardavano la sproporzionata multa (fino a un milione di euro) nei confronti delle navi che soccorrono i migranti, e la dubbia costituzionalità di alcuni punti della legge 77/2019, come ad esempio il divieto di accesso alle acque territoriali italiane a navi di soccorso che trasportano naufraghi. Un divieto che viola il diritto internazionale (che l’art. 10 della Costituzione impone di rispettare) e frantuma il dovere di solidarietà sancito dall’articolo 2 della stessa Costituzione. La maggioranza discute, con i 5 stelle che vorrebbero limitarsi solo a questi aspetti e il PD e le altre forze che vorrebbero aggiungere la necessaria reintroduzione di una forma di protezione umanitaria (rimossa dai decreti con conseguenze drammatiche su molti migranti regolari, finiti o a rischio di finire in clandestinità), il ripristino di un sistema di accoglienza diffusa, l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe dei comuni. La discussione è aperta. Ma parte già al ribasso, con la necessità di compromessi, perché nessuna delle due forze, in realtà, vuole rimettere in discussione il proprio passato.
I 5 stelle, infatti, difendono quello che è uno dei provvedimenti principali della loro prima esperienza al governo. Il PD, invece, si limita alla correzione delle forzature di Salvini, per tornare in qualche modo a poco prima, ossia all’impianto precedente marchiato dal timbro di Minniti. Nessuno si sforza di andare oltre, perché di fatto a nessuno interessa. Sui migranti si giocano ancora le battaglie elettorali. I migranti sono ancora utili a muovere voti in quell’elettorato mosso da cattiveria, irritazione, fastidio. Un elettorato in parte razzista in parte ipnotizzato dalla paura dell’altro, dalla indisponibilità a concedere allo “straniero” gli stessi diritti. Perché anche nell’elettorato del centrosinistra c’è chi vede il migrante come un cittadino di serie B, da tutelare certo, ma fino a un certo punto. E allora, se tutto andrà bene, ci si limiterà a queste modifiche, che saneranno qualche ingiustizia, ma che non riformeranno il sistema dell’accoglienza e soprattutto la logica spietata delle normative sull’immigrazione, logica che ha origini lontane.
Per il resto nessuna idea di riforma complessiva, nessun modello virtuoso da proporre, fondato sul riconoscimento dell’essere umano prima che del lavoratore, su meccanismi di tutela dei diritti e della dignità dei migranti, nessun intervento su una ripresa congiunta dei soccorsi in mare, nessuna attività propulsiva in Europa per la realizzazione di corridoi umanitari o attività di soccorso congiunto in mare o per la riforma degli accordi di Dublino. La possibilità di chiudere i porti non viene ancora del tutto messa in discussione. Manca proprio una visione seria e concreta della questione, una visione che porti a cancellare obbrobri come la Bossi-Fini e che abbracci anche la normativa sull’asilo, regolamentandola una volta per tutte e cancellando la linea restrittiva degli ultimi governi e l’arbitrarietà con la quale si decide della vita delle persone.
Ma ci vorrebbe coraggio, ci vorrebbe il coraggio di difendere dei valori, di rieducare il Paese a una umanità che è stata messa da parte, data in pasto a cialtroni, odiatori seriali, fenomeni da baraccone che, smessi i panni che un tempo appartenevano ai perdigiorno da bar, oggi rivestono ruoli negli enti locali, in parlamento e oltre. Servirebbe umanità, una umanità che è stata sacrificata anche da coloro che, per valori e tradizione, avrebbero potuto e dovuto difenderla e invece hanno scelto di non farlo, per perseguire la propria carriera di burocrati del consenso. Adesso, con enorme ritardo, si prova a mettere mano anche al Memorandum con la Libia, rinnovato in barba alle proteste di chi ne chiedeva la cancellazione. Un accordo che ci rende complici di genocidio e che condanna migliaia di esseri umani a sofferenze atroci e a morte, quotidianamente.
Ora si vuole chiedere alla Libia di modificare l’accordo, sulla base di garanzie sui diritti umani e sul trattamento dei migranti. La Libia, o meglio la parte che tratta con l’Italia, formalmente si dice disponibile, tanto a parole tutto si può dire e promettere. Un’altra farsa, un piccolo tentativo italiano di ripulirsi la coscienza, trattando con dei delinquenti, con un Paese in mano ai trafficanti (precedentemente accolti persino nelle nostre sedi istituzionali). Trafficanti che si arricchiscono con il sangue dei migranti, li usano come arma di ricatto e intanto concludono affari d’oro con le nostre mafie. Un Paese che non ha nel suo dna il rispetto dei diritti umani. Non riconosce nemmeno le convenzioni in materia. Un Paese con il quale non andrebbero modificati gli accordi, ma cancellati. L’Italia, dunque, continua a mentire a se stessa, attraversata a tutti i livelli da una ipocrisia patologica.
Una ipocrisia che ha la faccia delle politiche di collaborazione con la Libia, di quelle commerciali con l’Egitto, con un regime che ha torturato e ucciso Giulio Regeni e che tortura, incarcera e fa sparire dissidenti e attivisti. La stessa ipocrisia delle politiche industriali, delle armi e dei soldi destinati alla Turchia di Erdogan o all’Arabia Saudita, agli Emirati a agli altri paesi alleati dei sauditi che quelle armi le usano da tempo per massacrare lo Yemen e la sua gente. Ecco perché è difficile fidarsi anche di questo governo, delle forze politiche che lo compongono. Perché quello che manca in questo Paese è una visione onesta.
Manca l’etica della verità che dovrebbe animare chiunque brami davvero un cambiamento, in senso migliorativo, umano, consapevole, del mondo. Non si tratta di modificare due decreti o un memorandum, si tratta piuttosto di abrogare la propria disumana indifferenza, la propria incapacità ad osare, a guardare il mondo con occhi nuovi e a proporre, almeno una volta, misure e idee che non siano al ribasso, ma volino alto. Con dignità, etica e coraggio. Perché la giustizia ha bisogno di coraggio, dignità ed etica, non di offerte sottocosto o di cerotti consunti.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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