L’aggressione subita dal giornalista di Repubblica, Stefano Origone, è un fatto gravissimo ed è la prova di un Paese nel quale la democrazia vive dei vuoti preoccupanti. Quanto successo a Genova è ormai sotto gli occhi di tutti: durante una manifestazione di CasaPound, un drappello di poliziotti in tenuta antisommossa ha scagliato la propria rabbia nei confronti di Origone, il cui unico scopo era quello di documentare e raccontare quanto stava accadendo. Cioè, fare il proprio dovere. Origone è da molti anni un cronista “di strada”, uno che di scontri tra poliziotti e manifestanti ne ha visti parecchi e che, per questa ragione, mai si sarebbe aspettato di poter subire una violenza del genere. Stando a quanto documentato, in occasione del corteo di CasaPound, alcuni manifestanti antifascisti avrebbero tentato di forzare il blocco della polizia per impedire la manifestazione di chi si richiama al fascismo, alla dittatura, ai nemici della patria e della Repubblica. A quel punto, la polizia, ha iniziato a caricare.
Questo è probabilmente il primo punto da cui partire per analizzare al meglio l’intera vicenda: Genova, infatti, è uno dei simboli più importanti della Resistenza italiana. Genova è antifascista, Genova è contro ogni forma di violenza ed è, soprattutto, teatro dei durissimi scontri del G8 del 2001. Sembrava che il Paese e soprattutto le forze dell’ordine avessero imparato la lezione: niente di più sbagliato. Si continua ancora a sospendere la democrazia.
C’è poi un altro punto su cui bisogna porre l’attenzione: perché è stato autorizzato un corteo fascista? Che fine ha fatto la famosa legge Scelba, quella sull’apologia di fascismo? La sensazione (pessimista? catastrofica?) è che l’Italia stia diventando sempre di più un Paese in cui si è forti con i deboli e deboli con i forti. Se è vero che uno dei mali cronici di questa nazione è l’attuazione non sempre precisa delle regole e delle leggi, è altrettanto vero che gli innumerevoli casi dell’ultimo periodo non fanno altro che ricordarci un’epoca nefasta, che tanto orrore ha provocato all’Italia.
Per di più, quando un giornalista viene colpito, non è soltanto l’individuo in sé ad essere messo in discussione, ma la libertà di espressione e di parola dell’intero Paese. Un giornalista che fa il proprio lavoro, che testimonia dei fatti e li racconta, che rischia la propria pelle per trasmettere una verità altrimenti impossibile da conoscere è il protagonista di una vera e propria missione, una missione che in Italia sembra sempre più difficile da realizzare. Non bastano la criminalità organizzata e le intimidazioni mafiose a cercare di tarpare le ali del giornalismo, adesso ci si mettono pure le manganellate e i calci in faccia di un gruppo di poliziotti, a dimostrazione del fatto che c’è del marcio anche tra chi dovrebbe mantenere ordine e sicurezza tra i cittadini.
La speranza è che quanto accaduto la settimana scorsa rimanga solo un episodio isolato di violenza sconsiderata e che niente del genere si ripeta. A proposito di ciò, sarebbe un bel passo in avanti se in Italia venisse introdotto il numero identificativo sul casco degli agenti (già presente, tra l’altro, negli altri Stati europei e contro il quale si è scagliato più volte Matteo Salvini).
In attesa che un’illuminazione tale rischiari le menti dei nostri più fini politici, la nostra redazione si unisce alla FNSI e all’Associazione Ligure dei giornalisti nel manifestare solidarietà e vicinanza al cronista di Repubblica, affermando ancora con più forza che le scuse (dovute) da parte del questore non possono bastare. Ci aspettiamo una spiegazione da parte delle autorità e un’indagine che individui e sanzioni veramente e severamente i colpevoli di un atto inqualificabile e violento che rischia di ledere l’immagine delle forze dell’ordine e del nostro Paese.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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