Pochi giorni fa, carabinieri e agenti della Dda di Palermo hanno messo a segno un colpo durissimo nei confronti di cosa nostra e della criminalità organizzata siciliana. Agli arresti, infatti, è finito Settimo Mineo, boss 80enne palermitano eletto come nuovo “capo dei capi” durante un summit mafioso il 29 maggio scorso. Con lui sono stati arrestati anche i suoi tre vice e altre 42 persone, tutte con precedenti penali e appartenenti a diverse cosche palermitane. Secondo gli inquirenti, le persone arrestate nel raid di qualche giorno fa avrebbero tentato di riorganizzare la “cupola”, una struttura organizzativa mafiosa che mancava dal 1993, anno in cui venne arrestato Totò Riina.
Ed è proprio a seguito della morte di quest’ultimo, inoltre, che i boss dei mandamenti mafiosi palermitani più importanti avrebbero deciso di riorganizzare quella struttura che tanto aveva rafforzato il potere di cosa nostra, eleggendo, come detto, proprio Mineo quale nuovo capo. Alla luce dei risultati dell’inchiesta (tra l’altro denominata non a caso “Cupola 2.0”) ottenuti grazie anche a diverse intercettazioni, è stato possibile smontare in mille pezzi quel che avrebbe potuto rappresentare un vero e proprio pericolo per la sicurezza siciliana ed italiana.
Mineo, infatti, sebbene fosse stato accusato e condannato più volte, venne scarcerato 5 anni fa con uno sconto di pena che, a quanto pare, ne favorì il reinserimento nella società e nella comunità mafiosa. Quell’evento destò notevole preoccupazione negli ambienti della giustizia italiana proprio per la pericolosità che Mineo rappresentava già all’epoca. A distanza di qualche anno, insomma, si può constatare come certe preoccupazioni non fossero affatto infondate; inoltre, va sottolineata l’importanza che tale inchiesta assume nella realizzazione di una mappa strutturale della criminalità in Sicilia che, si spera, aiuterà gli inquirenti in altre indagini future.
Come se non bastasse, l’idea che la mafia si stesse preparando e riorganizzando seguendo metodi tradizionali e di vecchio stampo dimostra come questa organizzazione, sebbene sia spesso all’avanguardia e volga lo sguardo a nuove possibilità di guadagno e di controllo del territorio, non disdegni nemmeno il passato che l’ha resa quel che è, ancora oggi, cioè una delle minacce maggiori per la vita del nostro Paese.
Quanto scoperto dagli inquirenti è la dimostrazione che la mafia sa dosare alla perfezione elementi nuovi e tradizionali. È la prova che se le si dà la possibilità di riorganizzarsi, di applicare una struttura ben definita e di pianificare eventuali piani d’azione futuri, si rischia di tornare ad epoche che pensavamo aver superato una volta per tutte, epoche che raccontano la storia di un’Italia in guerra, insanguinata e terrorizzata.
Il colpo inferto questa volta è davvero notevole ed è probabile che le organizzazioni mafiose lo abbiano accusato. Crediamo, quindi, che sia il momento ideale per andare avanti, per andare più a fondo, utilizzando gli importanti elementi emersi da questa importantissima indagine che permette di ridisegnare il nuovo (anche se in realtà vecchio) schema di organizzazione di cosa nostra. Certo, se chi governa mostrasse una maggiore attenzione, invece di litigare con magistrati impegnati sul campo, si potrebbe sperare un po’ di più…
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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