C’è poco da dire: Alessandro Cattelan è probabilmente il maggior talento che si può scorgere nel panorama dei moderni showman italiani. A Sky hanno da sempre una marcia in più. Parla, canta, si muove benissimo. E si circonda sempre di gente in gamba, il che rappresenta il vero valore aggiunto. Di conseguenza, quello che fa, che propone, appare sempre scritto molto bene, con idee a volte semplici e d’impatto, divertenti, funzionali. Ricordo, ad esempio, una puntata di “E poi c’è Cattelan” dello scorso febbraio, ospite Gerry Scotti: a turno i due dovevano rispondere a delle domande seduti su una sedia che, nel caso di risposta errata, sarebbe diventata incandescente nel giro di un paio di secondi (“Gerry, scotti!”), facendo rischiare una vera e propria ustione alle parti basse.
Idea divertente, ma non originalissima (segno comunque dell’attenzione degli autori sul panorama internazionale): una cosa del genere si era vista già, ad esempio, nel programma “How Evil Are You?” di Discovery Channel o nel reality show “Zone Xtreme”. Con una differenza però, e cioè che ai malcapitati, anziché un’altissima botta di calore, veniva inflitta una forte scossa elettrica (nel caso del reality show era solo simulata, all’insaputa del concorrente), e questo per un motivo preciso: gli autori si rifacevano all’esperimento di Milgram.
Sì, ho fatto questo panegirico per parlare di Milgram, ma anche per rendere omaggio a Cattelan. È da un po’ che in rete si è tornati a parlare di Milgram (o, perlomeno, è da un po’ che me ne sono accorto) e a me in questi giorni è venuto in mente per un motivo preciso, cioè per capire se e quanto siamo capaci di allontanare da noi – quando sarebbe necessario – quel “dogmatico rispetto verso le istituzioni” che cantava Battiato prima di chiedersi “che cosa resterà di me? Del Transito terrestre?”. In fondo è quello che si chiese Milgram oltre mezzo secolo fa, e il fatto che oggi si ripresentino le sue domande è parecchio significativo.
“È possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini?”, è quello che nel 1961 si chiese lo psicologo statunitense. Cioè: ma davvero i soldati nazisti che rinchiudevano gli ebrei nelle camere a gas o che uccidevano per strada o razziavano, rubavano, picchiavano, lo facevano senza rendersi conto del gesto in sé, e quindi semplicemente per non disobbedire? Per rispondere, Milgram reclutò dei volontari fra i 20 e i 50 anni per un generico “esperimento sulla memoria”, senza dare spiegazioni precise. I collaboratori di Milgram, chiamati sperimentatori, assegnavano dei ruoli ai volontari suddividendoli in insegnanti e allievi mediante sorteggio. In realtà il sorteggio era pilotato: a tutti i volontari veniva assegnato il ruolo di insegnanti, mente quelli sorteggiati (falsamente) come allievi erano complici di Milgram.
Una volta stabiliti i compiti, durante l’esperimento bisognava seguire un iter preciso: l’insegnante doveva fare delle domande all’allievo che se ne stava seduto su una sedia e, nel caso l’allievo avesse dato delle risposte sbagliate, allora l’insegnante avrebbe dovuto dare un impulso per una scossa elettrica, sempre più forte man mano che l’esperimento andava avanti. L’insegnante era osservato da uno sperimentatore ed esortato ad andare avanti nonostante l’allievo (che non riceveva davvero le scosse) mostrasse sofferenza per gli impulsi inviati, fino al punto di simulare lo svenimento (o la morte) per l’impulso finale, il più forte.
“Continui, prego”, “L’esperimento richiede che continui”, “È assolutamente indispensabile che continui”, “Non ha scelta deve andare avanti”, erano le frasi degli sperimentatori per esortare gli insegnanti, i quali spesso si mostravano sì titubanti, ma poi conducevano l’esperimento fino alla fine, con la scossa più forte. Milgram si aspettava che a spingersi fino alla scossa finale sarebbe stato il 3% dei soggetti volontari, ma il risultato fu sconvolgente: ben il 65% arrivò a infliggere l’ultimo impulso, e alle domande successive all’esperimento, come ad esempio: “Perché non si è fermato?”, le risposte degli insegnanti erano spesso: “È lei che non me lo ha permesso, io volevo fermarmi!”.
Il commento dello psicologo statunitense fu impietoso: “Finché continuano a pensare che gli ordini provengano da un’autorità legittima, i soggetti non si fermano. E se la cosa arriva a tali risultati nei casi in cui l’autorità è rappresentata da un uomo singolo di 50 anni, immaginiamoci l’effetto che può avere l’autorità di un vero governo nazionale”.
Ecco, a questo ho pensato quando ho appreso la notizia di Mimmo Lucano, il suo rifiuto di eseguire gli ordini dall’alto, infrangendoli, per aiutare dei poveri disgraziati. Lucano non sarebbe rientrato nel 65% e probabilmente si sarebbe fermato subito se fosse stato fra i volontari di quell’esperimento. Il “dogmatico rispetto verso le istituzioni” può cessare di fronte all’ingiustizia: saper valutare con correttezza il peso sociale della decisione di un governo potrebbe anche cambiare le sorti della storia, scongiurando enormi tragedie. Come svegliarsi da uno stato di dormiveglia indotto. Come anticorpi che si battono dall’interno in un sistema malato.
Se dalla follia di Hitler, Eichmann e compagnia non siamo riusciti ad imparare granché, se l’esperimento di Milgram non è riuscito del tutto ad aprirci gli occhi, abbiamo ancora gente come Mimmo Lucano dalla quale poter imparare.
Seba Ambra -ilmegafono.org
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