L’Italia è un Paese che, dopo il primo giro di consultazioni, non ha ancora un governo. L’Italia è un Paese nel quale ci sono aspiranti premier che continuano a dire di essere stati scelti e votati dai cittadini, ostentando una falsità frutto di una evidente ignoranza del dettato costituzionale. L’Italia è un Paese che non sa scegliere e, se lo fa, non è mai pienamente convinto della sua scelta. Voto utile, voto di protesta, voto di pancia. La testa latita, la convinzione è flebile, se non per chi si crogiola in un fanatismo grottesco e pericoloso. Non è dato sapere come si uscirà da questa situazione senza ricorrere a breve e nuovamente alle urne, con una legge elettorale inutile e con un ulteriore dispendio di soldi.
Fa sorridere di tenerezza, però, chi oggi si sciocca e indigna di fronte all’attuale stato di impasse della politica nazionale, come se non avesse mai letto o ascoltato le parole di chi affermava che, matematicamente, nessuno avrebbe mai potuto vincere queste elezioni e ottenere la maggioranza parlamentare necessaria alla nascita di un governo. A tal proposito è avvilente sentire che c’è gente che ancora dice che se “avessero preso il 40% avrebbero potuto governare”, dimenticando che quella soglia e quel premio, previsto dall’Italicum (che avrebbe consegnato quasi certamente il Paese al centrodestra), sono scomparsi con il Rosatellum. Sembrano proprio ignorare il fatto che, per vincere e conquistare palazzo Chigi, il 4 marzo, un partito o una coalizione avrebbe avuto bisogno di ottenere il 50% più uno. Forse solo in Russia o in Turchia una legge come quella attuale riuscirebbe a partorire un esecutivo.
Ciò detto, l’atteggiamento dei leader è imbarazzante. E basterebbe semplicemente notare la distonia tra la parola leader e i personaggi a cui viene assegnata, per comprendere il motivo di tale imbarazzo. Di sicuro, di tutte le possibili alleanze non ne esiste una che faccia presagire qualcosa di positivo. Ci sono punti programmatici che non si sposano e le capacità di sintesi e di compromesso di questa classe dirigente, che vive la gestione della cosa pubblica come una partita di calcio in un campo di provincia, sono pari a zero. Almeno in apparenza. La cosa che colpisce di più, però, è lo scenario di motivazioni che separa e inibisce possibili accordi.
Nessuno vuole perdere nulla. L’interesse primario non è quello del Paese, delle urgenze da fronteggiare con equilibrio e misura, rimediando agli errori compiuti in questi anni. L’interesse primario è non perdere appeal, non fare uscire acqua dal proprio mulino. I 5 Stelle non vogliono Berlusconi, perché è l’emblema di un sistema che a parole hanno cercato di combattere, ma dimenticano che quel Salvini e quella Lega che considerano invece degni, con Berlusconi e con il centrodestra non solo ci si sono alleati ma ci governano diverse regioni e diversi comuni, andando a braccetto con inquisiti, condannati e impresentabili (che a volte hanno anche la camicia verde).
Quindi il festival dell’ipocrisia potrebbe anche essere accantonato. O ti rassegni a non governare, senza ripetere che il tuo è il partito più votato, perché negli scenari complessi di formazione di un governo questo conta fino a un certo punto, oppure ti allei con chi è disponibile, senza pretendere di imporre veti e assumendo il rischio che una tua decisione potrebbe determinare un crollo dei consensi al prossimo voto.
Il centrodestra, dal canto suo, continua a camminare su un equilibrio precario, figlio di una frattura che, se consumata fino in fondo, rischia di far crollare anche molti accordi locali. All’unità fasulla della destra non crede nessuno e si attende soltanto di capire chi sarà il primo a sferrare la mossa più velenosa. Salvini gioca, sottovalutando il Caimano che lo osserva. Si mostra sicuro ma in realtà ha paura, perché un governo con i 5 Stelle da subalterno non è un buon modo per proseguire la costruzione della propria leadership del centrodestra.
E la sinistra? La sinistra politica non esiste più e nemmeno il centrosinistra. Esiste il Pd, quello che si indigna e protesta per la vergognosa e illegale azione di polizia dei francesi a Bardonecchia, ma che nel frattempo santifica Minniti (che sull’immigrazione ha fatto molto peggio) e flirta con il presidente francese, quel Macron, liberale, divenuto da tempo punto di riferimento politico. Il Pd, dicevamo, che sceglie di stare all’opposizione a prescindere, dimenticando che al momento non c’è nulla a cui opporsi. Si tira fuori, non accetta nemmeno di discutere con i 5 Stelle, ufficialmente perché dal Movimento sono arrivate in questi anni troppe offese e accuse infamanti, ma in realtà semplicemente perché ciò significherebbe dover ammettere che misure come il Jobs Act, per citarne una che i 5 Stelle vorrebbero eliminare e sostituire, sono state completamente sbagliate.
Insomma, la verità è che alleandosi, posto che si trovino dei punti in comune, bisognerebbe mettere totalmente in discussione il gruppo dirigente che ancora, nonostante la sconfitta clamorosa, è al comando e difende le proprie scelte, non riflette, non ascolta, non intende mollare la presa su un partito in piena crisi, colpito da una emorragia di voti che ora si pensa di recuperare chiudendosi nell’inerzia di una opposizione debole e tornando per strada, in quelle strade e, soprattutto, nelle periferie che però ha snobbato per anni, isolando quei militanti che ci si spendono da sempre. Qualsiasi soluzione, pertanto, possa venire fuori da queste consultazioni, lo scenario sarà quello di un equilibrio precario, rispetto al quale nessuna forza politica assumerà decisioni che potrebbero penalizzarla sul piano elettorale.
L’interesse collettivo e le priorità di un Paese abbrutito, in conflitto costante, attraversato da profonde disuguaglianze, inquinato e avvelenato, in crisi occupazionale e con un mondo del lavoro sempre più precario e insicuro, vengono solamente dopo. Dopo le strategie di potere e di posizionamento di ciascuno, dopo le ripicche e le diatribe fra gli esponenti dei vari partiti. Alla fine di un tempo politico che sembra essere tornato indietro di oltre un secolo, immerso in una palude stagnante nella quale il meglio sprofonda e il peggio affiora.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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