Dalla relazione realizzata dalla Direzione Investigativa Antimafia e presentata alla Camera qualche giorno fa, emerge uno scenario molto preoccupante. Come risulta da diverse indagini relative al 2017, in Campania e, nello specifico, a Napoli, il tasso di criminalità non solo resta presente in maniera costante, ma fa addirittura leva sull’età sempre più bassa di chi ha deciso di commettere dei crimini. Sembra cresciuto a ritmi spaventosi, infatti, il numero di ragazzini (per lo più adolescenti) che hanno deciso di intraprendere una vita criminale, spesso con il solo obiettivo di mostrare la propria superiorità o un potere che sembra non avere confini.
Quel che si evince, insomma, è la nascita di veri e propri piccoli eserciti (le cosiddette baby gang) composti da elementi la cui fedina penale non è (ancora) sporca, ma nonostante ciò pronti a sfoderare “atti di inaudita ferocia” grazie anche ad una evidente “percezione di impunità”.
I motivi per cui ciò è avvenuto e sta tuttora avvenendo sono molteplici: innanzitutto, sempre stando al rapporto della DIA, vi è la mancanza di veri e propri “capi” nel mondo della camorra (dato che la maggior parte di essi sono sottoposti al 41bis), il che ha portato diversi giovani “inesperti” alla guida dei clan e, successivamente, alla creazione di faide interne tra clan un tempo amici. La situazione di confusione è evidente, quindi, ed è anche a ciò che si deve l’esordio criminale di tanti esponenti così giovani.
Poi, ovviamente, vi è una debolezza preoccupante dello Stato, che riguarda l’intero comparto di istituzioni che lo rappresentano, comprese le scuole e le forze dell’ordine. Con ciò non si vuole assolutamente sminuire lo sforzo impiegato dalla polizia o dagli inquirenti in generale (ciò non sarebbe giusto e non corrisponderebbe alla verità), né si vuole far intendere che gli istituti scolastici presenti in Campania siano di basso livello; al contrario, siamo più che consapevoli della lotta portata avanti da chi in certe aree ci vive o ci lavora, sulla strada come nelle scuole. Quel che si vuole denunciare qui è, invece, una mancata presenza massiccia di certe figure istituzionali, una presenza che non sia soltanto di controllo, ma soprattutto di prevenzione e di costruzione di legalità. In questo, è chiaro, la scuola, lasciata troppo da sola e con pochi strumenti, costituisce l’esempio perfetto di uno Stato indebolito.
Tale punto si collega poi ad un altro dei motivi poco prima accennati: quello culturale/sociale. Il problema, infatti, al di là dell’educazione o del controllo repressivo, sta nel fatto che molta gente in Italia, non solo al Sud, vive dentro un sistema radicato di convenienze e di corruzione o, al contrario, in un regime di assoluta emarginazione, che costituiscono il terreno fertile della criminalità, difficile da bonificare e contrastare, soprattutto in un’epoca dove i buoni esempi sono sempre meno.
E qui arriviamo all’ultimo punto: l’aspetto politico. Lo ha affermato lo stesso Don Ciotti qualche giorno fa, quando ha detto che «in campagna elettorale nessuno parla di mafia e di corruzione». Come potremmo dargli torto? Vi è un silenzio assordante, non solo durante la campagna elettorale, ma anche durante la normale vita politica, e questo attualmente fa apparire quasi impossibile un cambiamento radicale. Insomma, in un momento di palese confusione, sia da una parte che dall’altra, la criminalità resta avvantaggiata e favorisce l’entrata di nuovi elementi criminali. Dà ai più giovani, in senso negativo e in una prospettiva che è assolutamente nichilista, quello spazio che viene loro negato dalla società, dalla politica e dal mondo del lavoro attuale. Qualcosa su cui, al di là dei numeri, bisognerebbe riflettere senza ipocrisia.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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