Lo scenario relativo alla situazione della mafia siciliana, emerso in occasione della presentazione del rapporto della Dia, in merito al primo semestre dello scorso anno, appare per certi aspetti interessante e al tempo stesso sorprendente. Secondo quanto sostenuto dagli inquirenti che hanno realizzato tale rapporto grazie alle numerose indagini e attività di controllo e contrasto alla criminalità, sembra che i clan e le famiglie di cosa nostra abbiano incominciato a mal sopportare la leadership dei corleonesi.
Nel rapporto, infatti, si parla di una vera e propria “sofferenza nei confronti” delle famiglie mafiose per antonomasia, quelle famiglie che hanno fatto la storia della mafia soprattutto nel secolo scorso e che oggi, per la prima volta, scoprono di non aver più la stessa potenza di un tempo.
Il rapporto, presentato sia in Parlamento (dal ministro dell’Interno, Marco Minniti), sia a Palermo, in occasione dell’apertura del nuovo anno giudiziario, sancisce di fatto l’avvicinarsi di una nuova era, una svolta epocale all’interno dell’organizzazione mafiosa. Un’organizzazione che, nonostante la classica propensione verticistica, ha al proprio interno una struttura “multipolare, con più centri di comando ed uno scenario eterogeneo, in cui si rilevano sconfinamenti, indebite ingerenze, interconnessioni operative, candidature autoreferenziali e, sempre più, la tendenza di famiglie e mandamenti a riservarsi maggiori spazi di autonomia”.
Ed è proprio su famiglie e mandamenti che l’analisi si concentra con maggiore attenzione: in sintesi, infatti, è apparso come la mafia trapanese abbia acquistato sempre più potere sconfinando addirittura nella provincia palermitana, soprattutto grazie alla produzione e allo spaccio di droga (proprio nell’ultimo anno, infatti, si è registrato un incremento nella coltivazione di marijuana, portando il capoluogo siciliano al vertice della classifica delle città dove tale fenomeno è presente). Gela e il nisseno in generale, invece, dimostrano ancora una sorta di autonomia nei confronti di cosa nostra, con la persistenza della ben nota Stidda.
Un’autonomia caratterizzata anche da profili completamente diversi: se i clan gelesi prediligono ancora azioni eclatanti (giungendo persino a compiere atti criminali in pieno centro storico, come quello accaduto lo scorso aprile nei confronti di un pregiudicato), cosa nostra ha invece adottato la politica dell’inabissamento: una politica che, come spiegato dalla stessa Dia, “non è da intendersi come depotenziamento, quanto piuttosto come una, seppur forzata, scelta strategica di sopravvivenza finalizzata a sottrarsi alla pressione dello Stato, gestendo in maniera silente gli affari interni ed esterni”.
Il tutto garantito e facilitato dalla presenza di figure importanti e vitali per l’esistenza e la crescita dei business mafiosi, vale a dire quei famosi colletti bianchi di cui le pagine di mafia sono ormai colme. È proprio grazie ad essi, infatti, che la criminalità organizzata riesce ad infiltrarsi praticamente dappertutto, in ogni settore, quasi indisturbata e poco contrastata. Ed è forse anche questo un cambiamento che rende tutto più difficile, soprattutto per gli inquirenti, poiché, come afferma Aaron Pettinari nel suo articolo pubblicato su Antimafia2000 qualche giorno fa, essere uomini di mafia oggi è “qualcosa di più evanescente e più complesso e, proprio per questo, più difficile da scoprire”.
Insomma, cosa nostra sta cambiando pelle e, si sa, certi cambiamenti possono portare a delle svolte importanti e forse persino rumorose. Che le pistole tornino a sparare in pieno giorno sembra improbabile, ma l’attenzione non deve mai abbassarsi e lo sanno bene gli inquirenti che svolgono tale lavoro ogni giorno.
Quel che appare evidente, pertanto, è che vi sia una vera e propria corsa al potere in atto: se, da un lato, Matteo Messina Denaro ha un raggio d’azione sempre più ristretto, grazie anche alle numerose operazioni di contrasto portate avanti da magistrati e forze dell’ordine, quello trapanese sembra comunque il mandamento con maggiori probabilità di succedere al potere dei corleonesi. Se non si trattasse di un gioco sporco e sanguinoso, si potrebbe scommettere sul fatto che possa riuscire o meno nell’impresa. Chissà, magari all’interno dell’organizzazione qualcuno sarebbe pronto a gestire le puntate. Ovviamente con capitali sporchi da riciclare alla vecchia maniera.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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