L’Hotel Sudan non è un albergo a cinque stelle. È un casolare fatiscente nelle campagne interne di Cassibile, frazione agricola di Siracusa, proprio sotto l’autostrada che viaggia verso Sud. Un luogo in cui, da anni, qualche centinaio di migranti giunti da tutta Italia, tra i primi di marzo e i primi di luglio, per la stagione della raccolta (finocchi, patate e soprattutto fragole) a turno trova riparo, riuscendo a creare una sorta di comunità improvvisata ma ben organizzata. Nel tempo hanno messo a posto un po’ di cose e, seppur tra mille disagi, ci si riesce a lavare, si può stare insieme, mangiare, ci si aiuta a vicenda, ma soprattutto si può dormire sotto un tetto, alla fine di una massacrante giornata di lavoro nei campi.
Non ci sono altri luoghi a Cassibile. Le case non vengono affittate e gli imprenditori, sia quelli in regola sia quelli che basano tutto sullo sfruttamento, non si preoccupano di dove quei lavoratori andranno a dormire a fine lavoro. L’Hotel Sudan ha fatto da cuscinetto a una situazione drammatica. L’Hotel Sudan oggi sta per chiudere.
Il proprietario del terreno dove da anni si accucciano questi lavoratori agricoli stagionali “si vede costretto” a denunciarli se, dopo un ultimo invito ad abbandonare l’area, non se ne andranno. Li denuncerà per occupazione abusiva della sua proprietà. Eppure sono anni che li vede lì e mai gli hanno dato fastidio. Ma adesso è stato messo con le spalle al muro dai proprietari dei terreni confinanti con il suo e da altra gente di Cassibile. Costoro hanno proceduto con svariate denunce, dal 2011 in poi, allo scopo di farli andar via e non tornare più. Gli stessi carabinieri e vigili urbani di Cassibile, a quanto sostiene il proprietario, farebbero pressioni affinché anche lui li denunci.
Il ragionamento che tutti fanno è semplice: questi neri a Cassibile non sono stati mai visti di buon occhio. C’è gente che ha paura avendo visto “uno che ha tirato fuori un coltello”, “quell’altro ubriaco”. Sempre a “sciamare sulla strada”, qualcuno trovato a “fumare con un narghilè chissà che porcheria che gli stravolgeva gli occhi e illividiva il volto”. Altri sono stati denunciati per furto di acqua da una trivella. La gente “non ne può più e vorrebbe vivere in santa pace e con un po’ più di igiene”. Questo è quello che ripetono da sempre.
Attualmente (inizio di febbraio) ce ne stanno una quindicina a dormire in quel casolare diroccato e in miserabili capanne lì vicino. Se non se ne andranno il proprietario, vi porterà le ruspe che in quattro e quattr’otto spianeranno tutto. Dopodiché, un muro impedirà l’accesso. Ma questa quindicina di ragazzi, con le buone o le cattive, deve sloggiare, in modo che si possa avviare subito l’opera di bonifica, prima che, come gli altri anni, arrivino le centinaia di altri lavoratori stagionali.
Così parlò. Lui: il proprietario.
Certo, nessuno gli può contestare i suoi diritti, perché tutto quel terreno è suo. Eppure l’amaro in bocca che mi lascia il suo dire è troppo forte. Mi son dovuto davvero censurare drasticamente mentre cercavo di rispondere qualcosa anch’ io. Mi ha detto che è un buon cattolico (ma questo non significa che il coraggio, se uno non ce l’ha, debba per forza averlo). Il problema è che lui si sente accerchiato da una folla che gli fa capire: buttali via. Le forze dell’ordine sono sommerse da denunce dei cittadini e gli avrebbero suggerito di allontanarli anche per non rischiare di passare per qualcuno che ne approfitta. La gente potrebbe dirgli: “sei un caporale allora? Ci lucri anche tu su di loro? E allora, se non li butti via ti denunciamo per sfruttamento di esseri umani” (Miracolo! Anche se, solo quando conviene, si scopre che sono addirittura “esseri umani”!)
Tutto si gioca dentro questo orizzonte. Ma non c’è una questione sociale che rischia di avvelenare di più un corpo sociale già fortemente avvelenato dall’assenza cronica di giustizia, diritti, consapevolezza della propria e dell’altrui dignità ? Innanzitutto: se qualche reato è stato riscontrato e denunciato, la responsabilità di esso non sarebbe comunque individuale? Come si può criminalizzare una intera comunità di persone, di lavoratori? E poi: questi lavoratori stagionali impiegati nei lavori agricoli, perché vengono? Per fare turismo esotico tra i cassibilesi? Se vivono come bestie è perché amano il personale degrado oppure perché non esiste alcunché di organizzato a cura dell’ente pubblico e/o dei datori di lavoro?
Vivono senza acqua, né servizi igienici, né corrente elettrica. Niente di niente, ma io non ho mai visto tanto decoro e solidarietà come quelli che loro possono mostrare a chiunque ci vada. Lavorano quando qualcuno li chiama all’alba in piazza e sono in balia di chi decide chi fare lavorare. Tanti hanno smarrito i documenti perché non hanno dove conservarli e se li portano dietro, sempre nella tasca posteriore dei pantaloni, soggetti a cadere a terra, soggetti a rovinarsi per il sudore o per la pioggia, dopodiché… sono cavoli loro per rinnovarseli: campa cavallo! Eppure hanno una riserva inesauribile di pazienza e di speranza.
C’è una questione sociale da affrontare, da convogliare in modo corretto e giusto. Sappiamo che il clima sociale oggi è quello che è e viviamo nel vuoto dei diritti. Sappiamo bene che, al di là della retorica, le carte fondamentali e le dichiarazioni di principio sono carta straccia, al massimo sono brani di letteratura dei secoli scorsi. La realtà è tutta un’altra cosa ed ogni persona intellettualmente onesta si accorge della catastrofe culturale che permette lo scempio della carne umana. Chi si indigna più? Chi campa campa e chi muore muore. Se uno di questi lavoratori accampati in quella campagna di Cassibile volesse rivendicare un suo diritto non lo prenderebbero a calci nel sedere? È successo: a un sudanese che rivendicava che gli venissero versati i contributi. “Visto? – mi ha detto un tale – vengono e fanno le pecore buone e poi ti si rivoltano contro con queste richieste… esose”.
Non gli ho risposto perché sono contro la violenza. Ma d’altra parte si trattava solo di un povero mafiosetto, cioè di uno di quelli che mai penserà che esistono diritti ma solo favori: di chi può tutto verso chi non può e “solo se ci guadagno quanto dico io”. Un poveraccio aduso a svendersi al padreterno locale. Fra un mese o due potrebbe accadere qualcosa a Cassibile. Ma temo che ci rimarranno sotto i più deboli, i non garantiti. Non me la sento di rimanere uno spettatore in pantofole. Ne parlerò in queste ore al prefetto di Siracusa e alle organizzazioni del mondo dell’agricoltura. E attraverso queste pagine vi racconterò le puntate di questa triste storia italiana.
Padre Carlo D’Antoni -ilmegafono.org
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