Un blitz dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria ha portato, dopo due intensi anni di indagini e intercettazioni, all’arresto di ventisei persone, mentre altre quaranta sono tuttora indagate per estorsione ed associazione mafiosa. L’inchiesta, denominata “Sansone” e coordinata dal pm Giuseppe Lombardo in collaborazione col procuratore capo della Dda reggina, Federico Cafiero de Raho, ha ottenuto due risultati piuttosto importanti nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata.
Il primo: tra le ventisei persone arrestate figurano tantissimi esponenti della cosca dei Condello (famiglia molto nota nel reggino), alcuni dei quali rei di aver favorito la latitanza del superboss Domenico Condello, arrestato nel 2012.
Il secondo: gli inquirenti sono riusciti a scoprire i meccanismi ben avviati di una ragnatela criminale che si era impossessata non solo di Reggio Calabria, ma dell’intero hinterland e delle zone limitrofe. In particolare, le forze dell’ordine hanno scoperto l’attività incessante della ‘ndrangheta nell’accaparrarsi gli appalti per la realizzazione della A3 e del ponte sullo Stretto. Piatti tanto prelibati da non poter evitare l’interesse di una organizzazione così potente e presente sul territorio.
Secondo il procuratore de Raho, sebbene le indagini fossero partite con lo scopo di porre fine alla latitanza del boss Condello, esse sono proseguite nel tempo poiché avrebbero svelato degli intrecci molto interessanti e pericolosi per l’intera comunità. Nello specifico, grazie alle intercettazioni effettuate anche all’interno delle carceri, si è scoperto infatti che un’altra famiglia avrebbe preso in mano il controllo del territorio: si tratta degli Zito-Bertuca, clan affiliato al più potente Condello e attivissimo sotto ogni fronte, specialmente per quel che riguarda il pizzo nella città di Villa S. Giovanni.
Dalle carte, infatti, emerge che proprio gli Zito-Bertuca sarebbero stati i fautori di alcune azioni intimidatorie realizzate nel corso degli ultimi anni: una tra le tante è l’incendio delle trivelle per la realizzazione di sondaggi geologici in una delle aree prestabilite per la costruzione di un pilone del ponte; non solo, i commercianti della stessa cittadina sarebbero stati costretti a fare “regali” per il boss Bertuca, da anni in carcere. Insomma, un vero e proprio controllo a tappeto di tutto quanto si muovesse e generasse denaro nell’intera area sopracitata. Commercianti, imprenditori, appalti pubblici: tutto doveva passare dalle mani (e tra le mani) della ‘ndrangheta.
L’operazione delle forze dell’ordine dà quindi un po’ di respiro a un lembo di terra che, da tempo ormai immemore, si trova attanagliato da una morsa tanto potente quanto dura da sconfiggere. Ma purtroppo rischia di essere solo un episodio, seppure importante, poiché è chiaro che la criminalità organizzata non perderà altro tempo per riorganizzarsi come e più di prima. Il lavoro svolto dai carabinieri, infatti, non può essere sufficiente: sarebbe fondamentale che le vittime collaborassero di più, aiutassero chi di dovere a far fronte ad un male enorme, un male di cui liberarsi una volta per tutte. Perché dalla lotta quotidiana alla mafia dipende il nostro futuro. E quella lotta tocca anche a noi cittadini.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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