L’utilizzo dei pesticidi per ottenere frutta e verdura esteticamente belle da vedere è ormai una costante nel mondo dell’agricoltura. Questa pratica, se da un lato potrebbe facilitare la vendita dei prodotti, dall’altro però non tiene conto del pericolo che spesso reca all’ambiente, filtrando nel terreno e contaminando le falde. La normativa che tutela le acque dall’inquinamento è basata sul rispetto dei limiti di concentrazione considerati accettabili, al fine di preservare la salute dell’uomo e dell’ambiente. Sfortunatamente, però, l’errata conoscenza di queste norme fa sì che questi limiti non siano cautelativi; lo dimostra il fatto che esistono sostanze “senza soglia”, per le quali non vi sono limiti di sicurezza.
“Considerando queste lacune – dichiara Pietro Paris, responsabile del settore Sostanze Pericolose dell’ISPRA – volevamo capire quanto una sostanza può persistere nell’ambiente e se possa essere importante l’esposizione prolungata alle basse concentrazioni. Pertanto, abbiamo preso a riferimento la resilienza, cioè la capacità che l’ambiente ha, una volta contaminato, di ritornare a condizioni imperturbate o almeno sostenibili dal punto di vista degli ecosistemi”.
Per la settima edizione del Convegno Internazionale per le Statistiche in Agricoltura (ICAS), che avrà luogo a Roma nel mese di ottobre, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha deciso, infatti, di presentare uno studio sulla sostenibilità ambientale per la contaminazione da pesticidi. La ricerca è stata effettuata in un arco di tempo di dodici anni sul bacino del Po, area soggetta a pressioni antropiche sia agricole che industriali, in cui è emerso la persistenza di un contaminante in acqua.
In particolare, lo studio è stato fatto sull’atrazina, un erbicida che veniva utilizzato fino alla fine degli anni ‘80, ma che successivamente venne bandito in Italia a causa di una diffusa contaminazione delle acque sotterranee, adoperate come acqua potabile nell’area padana. Ciò che è stato messo in luce è l’evoluzione della sua concentrazione.
“Nelle acque superficiali – spiega Paris – la concentrazione dell’atrazina si è dimezzata circa quattro volte rispetto a quando era in uso, perché il Po rinnova la sua acqua rapidamente. Poi siamo andati a vedere cosa succedeva nell’intera rete di pozzi del bacino padano: le concentrazioni sono circa quattro volte più alte di quelle delle acque superficiali. In 12 anni non c’è una tendenza a diminuire. Questo perché le acque sotterranee, specialmente nei bacini acquiferi profondi, hanno velocità bassissime, si spostano di pochi metri all’anno”. Tuttavia, esistono metodi di degradazione dei contaminanti organici, ma se il contaminante filtra il terreno e raggiunge le falde, questi meccanismi vengono a mancare e la concentrazione evolve.
L’atrazina non solo è persistente e pericolosa per l’ambiente, ma è anche un interferente endocrino, ovvero ha la capacità di alterare la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti sfavorevoli sulla salute di un organismo. Nonostante queste premesse, è considerata una sostanza “senza soglia” di sicurezza, quindi può essere somministrata a qualsiasi livello.
Quando, appunto, l’atrazina è stata tolta dal commercio, al suo posto è subentrata la terbutilazina, sostanza della stessa famiglia e con caratteristiche chimiche molto simili. Sebbene sia uno degli erbicidi selettivi più venduti in Italia, è stato classificato dall’Agenzia Europea per le sostanze chimiche come pericoloso sia per l’uomo che per l’ambiente. “Abbiamo fatto il confronto fra gli andamenti delle concentrazioni in acqua dell’atrazina e della terbutilazina- dice Paris-. L’atrazina, a differenza della seconda, è ormai una sostanza “morta” dal punto di vista agronomico, mentre la terbutilazina in uso ha picchi stagionali collegati al ciclo dell’agricoltura. Il confronto è utile anche a capire quello che potrà succedere in futuro: con alta probabilità anche la terbutilazina permarrà per decenni nelle acque”.
Insomma, il pericolo di una grande contaminazione è dietro l’angolo. I provvedimenti presi finora sono stati irrisori e superficiali. Nel 2014, infatti, essa è stata ritrovata in 397 punti delle acque superficiali e in 122 punti delle acque sotterranee.
Veronica Nicotra -ilmegafono.org
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