Sono passati solo otto mesi dalle ultime elezioni greche e Alexis Tsipras, giovane leader ateniese di Syriza, pochi giorni fa, ha di nuovo vinto le elezioni. Il risultato è praticamente lo stesso di gennaio: 145 seggi su 300 (a gennaio erano 149) e si prospetta nuovamente un’alleanza con Anel, partito conservatore euroscettico. Anche senza Varoufakis e anche senza una campagna elettorale pungente, antieuropeista e rivoluzionaria, il più giovane premier della terza repubblica ellenica riceve il consenso del popolo greco. Andiamo a vedere allora cosa è successo in questi mesi, passando attraverso i momenti fondamentali del suo governo, cercando di capire come è riuscito a vincere nuovamente le elezioni.

Tsipras diviene noto alle cronache politiche mondiali dopo gli esiti delle elezioni del maggio del 2012, quando il suo partito si posiziona secondo dietro Nea Demokratia. Dopo sono seguite le elezioni europee del 2014, dove Tsipras ha assunto il ruolo di leader della sinistra europea. Sin da studente, quando era attivista delle giovanili comuniste, le sue posizione sono sempre state fortemente anti-liberiste. Contrario al modello di consumo occidentale e a un mercato sfrenato, da militante della sinistra radicale e comunista, l’ingegnere di Atene è diventato uno dei rappresentanti del socialismo mondiale.

A gennaio di quest’anno vince le elezioni e ha la possibilità di formare un governo tutto suo. Presentatosi come unica alternativa valida ai partiti pro-europa e pro-austerità, promette ai greci di combattere la Troika e tutti coloro che vogliono dissanguare il popolo greco in nome del debito. La prima nota stonata arriva a meno di un mese dalla vittoria: l’eroe della resistenza greca, un partigiano diremmo noi italici, Manolis Glezos, lascia Syriza. “Chiedo scusa al popolo greco, perché anch’io ho partecipato a questa illusione”.

Questa una delle sue affermazioni che si accodarono ai primi malori interni che dopo un mese sottolinearono poco cambiamento e troppe promesse. Il governo intanto va avanti e, accanto a Tsipras, guadagna sempre più popolarità il suo consigliere e ministro delle finanze: Gianis Varoufakis. Figura eclettica ed estrema quanto preparata, sembra essere il tocco di follia necessaria per superare ostacoli giganti come l’UE di Angela Merkel.

Passano i mesi e la questione greca è sempre più accesa. Varoufakis è un radicale, Tsipras un mediatore. BCE, FMI e UE, esattamente come gli esattori americani dei racconti di Carver, assillano i greci. Verso l’estate le contrattazioni tra Tsipras e Troika si condensano e una proposta si manifesta. Lacrime, sangue e molto altro è quello che viene chiesto al popolo ellenico. Tsipras non ci sta, non se la sente di decidere lui da solo, non vuole che la storia della Grecia sia scritta in una sala per conferenze a Bruxelles. Viene indetto un referendum dove i greci sceglieranno se accettare o meno le proposte della Troika. Tsipras e Syriza vogliono la vittoria del No. E il No vince. Il rischio dell’uscita dalla moneta unica è ormai certo. Stonano le dimissioni di Varoufakis, le motivazioni ufficiali parlano di un “ostacolo nelle contrattazioni con la Troika”.

Si potrebbe dire che fin qui Tsipras ha gestito il tutto in maniera impeccabile. Ha rispettato il suo programma elettorale, ha saputo trattare con i creditori e ha in tutto questo anche interpellato il popolo per decidere. Tsipras rifiuta il piano proposto e torna a contrattare. La notte tra il 12 e il 13 luglio lo scontro finale. Uno schiaffo dei creditori alla democrazia. Il leader greco accetta un pacchetto di proposte della Troika tecnicamente non molto distante da quello precedente, quello oggetto del referendum. Dopo 14 ore di trattative notturne si parlava di tutto: waterboarding mentale della Merkel e di Hollande ai suoi danni. Si dice addirittura che quella notte Tsipras abbia detto “Prendetevi anche la mia giacca se volete”. La trattativa poteva finire meglio, molto meglio. Sarà stata l’inesperienza, sarà stato il fatto che nessun paese, nessuno, lo ha aiutato in questa lotta contro la finanza e i debiti.

Sarà stato il fatto che uscire dall’euro avrebbe condannato il paese alla rovina. Tsipras accetta il pacchetto, Varoufakis lo critica. Tutta l’ala estrema degli euroscettici di tutta Europa, che siano di sinistra o meno, lo criticano per essersi arreso, per non aver tenuto il colpo. Il suo governo va avanti ancora un mese poi, il 20 di agosto, si dimette, per tornare alle urne il 20 di settembre e vincere di nuovo. Condannare le sue mosse e arrivare a classificazioni come “sinistra di Bilderberg” appaiono accuse forti, a tratti eccessive. Sicuramente credere ancora a una promessa di rivoluzione è puerile più che illusiorio. Certo, le ferie estive presso uno dei maggiori evasori ellenici, più che la sua politica, minano la sua immagine. Di sicuro è l’uomo che non ha fatto perdere la dignità ai greci in un momento dov’essa sventolava come una foglia al vento.

Il popolo greco ha scelto pochi giorni fa di affidare il paese a colui che aveva preso in mano una situazione delicata. Un politico che, a differenza di Papandreu, ha il coraggio. Un politico che a differenza di Venizelos, Papademos, Samaras e altri, non va a contrattare con la Troika per tenerseli buoni ma per salvare una nazione dal fallimento sociale e umano. Tsipras ha iniziato un percorso di ristrutturazione del paese e i greci lo hanno capito. E per quanto criticato e giovane, per un popolo come il nostro, che ha ancora arcaiche difficoltà a chiamarsi popolo, un politico del calibro di Tsipras, a prescindere dal suo colore, non è che un miraggio.

 Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org