C’è un tizio parecchio strano per i nostri criteri europeo-mediterranei. Canta in francese ma è belga (ah già, i belgi). È di padre ruandese (ah, sullo ius soli o sanguinis avran le loro beghe). Ancor più strana è la musica che fa. Un vero e proprio esperimento che è il risultato del mix, mi permetto di dire, prima culturale e poi musicale che forse di respira su al nord, dove il melting pot è una realtà che a volte non fa rima con ghettizzazione. Si fa chiamare Stromae, che è poi l’anagramma di maestro (ah lo vedi, ci criticano tanto poi…).
Stromae è balzato agli onori delle cronache musicali con il loop “Alor on danse”, su una base elettronica pulita e molto anticonvenzionale. Una robina da 50 milioni di visualizzazioni, niente male per essere cantata in una lingua di certo meno diffusa dell’inglese. Che poi non sono solo canzonette. Una serie di contraddizioni descrivono una realtà cruda di fronte alla quale non resta che ballare. Sull’onda del successo, nel 2010 ha pubblicato diversi singoli.
È stato un po’ in silenzio dal 2010, poi se n’è uscito nel 2013 con dei singoli sempre sul filo della sperimentazione. Tous les Mêmes è quasi cabarettistica, come il video in cui l’artista gioca sulla sua immagine dinoccolata e androgina. Formidable sfoggia un’anima più romantica e più melodica (ma che non dimentica di “rompere” con una base di hip hop) su una voce da scoprire, acerba e giovane. Stromae, anche senza album, ottiene un ottimo riscontro di pubblico e forse è un esempio evidente di come si possa davvero inventare qualcosa di interessante attingendo alla propria esperienza e al mondo che ci circonda senza restare ancorati a un genere.
Volendo estendere il discorso potremmo anche dire che uno spirito puramente europeo, anche culturalmente, sarebbe in grado di costruire esempi di invettiva, di spaccatura, di invenzione, di innovazione. Perché quest’ultima è il vero motore del successo e l’unica arma che abbiamo, come panorama musicale, per resistere all’anonimato che ci impone in certi campi la globalizzazione. Oltre le Alpi, ma a sud delle stesse, siamo troppo abituati a cantarcele e suonarcele in una prospettiva da sempre autoreferenziale. Quando la globalizzazione non esisteva ai livelli di oggi, la musica italiana varcava i confini spinta dal fascino che il nostro Paese esercitava all’estero e anche dal fatto che la nostra capacità distributiva superava quella di moltissimi altri paesi del mondo.
Quando le possibilità si pareggiano resta solo la qualità da esportare. Anche in quest’ottica dovremmo rivedere il format delle nostre manifestazioni musicali. Stromae è la dimostrazione che si può fare musica in modo diverso, pur essendo giovani, pur non facendo album. È anche l’ora di capire il pubblico. Se da noi c’è un problema profondo di apertura mentale (e quindi culturale), continuando a suonare le solite canzoni davanti a gente interessata a presenziare più che a sentire non si andrà da nessuna parte. Non penso che Goldoni avrebbe mai “spaccato” nell’atmosfera della Scala, né che The Boss avrebbe mai vinto Sanremo, né che i Radiohead avrebbero mai suonato alle 16 al concertone del Primo Maggio.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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