A distanza di ventotto anni si riaccende la Citroën Méhari di Giancarlo Siani, coraggioso cronista napoletano ucciso il 23 settembre 1985 dalla camorra a soli 26 anni. In occasione dell’evento, il Comune e la Provincia di Napoli, insieme a diverse associazioni quali Libera, hanno organizzato un percorso simbolico al quale hanno preso parte diversi esponenti dell’anticamorra e dell’antimafia in generale. Tra questi, ovviamente, non poteva mancare Roberto Saviano il quale, per certi aspetti, ricorda un po’ quel che fu Siani per il mondo giornalistico e non solo.
Insieme a lui, hanno partecipato al percorso anche don Luigi Ciotti, Daniela Limoncelli (anch’essa giornalista de Il Mattino e collega di Siani), Giovanni Minoli, il magistrato Armando D’Alterio e tanti altri. L’auto, partita da piazza Leonardo (luogo in cui venne ucciso il giornalista), ha poi raggiunto la sede del giornale in una commovente ripetizione del tragitto che Siani faceva ogni giorno per svolgere il proprio lavoro di cronista “abusivo”. Sì, perché Giancarlo non era ancora un giornalista, eppure non ha mai smesso di amare la propria passione. Anzi, le proprie passioni: una per la verità, l’altra per il giornalismo vero. Due fili così spesso intrecciati tra loro, in un’attività che porta tante soddisfazioni, ma spesso anche dolori incredibili ed ingiustizie varie.
Questo è ciò che è accaduto a Siani, ucciso perché reo di aver raccontato verità troppo scomode per chi gestisce il territorio napoletano e campano. Ucciso perché ritenuto uno che “parla troppo”, uno che va eliminato a tutti i costi.
Certo, raccontare oggi quel che avvenne 28 anni fa può apparire superfluo o scontato per chi non conosce il valore e la vita del giovane di Torre Annunziata. D’altronde l’Italia è diventata, sempre di più, terra di minacce e di intimidazioni nei confronti di giornalisti e cronisti, al punto da ritrovarsi nei posti più bassi nelle numerose classifiche mondiali sulla libertà di parola e di pensiero. Ma Siani, insieme a Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Beppe Alfano e tanti altri, rappresenta, a malincuore, la generazione che ha dato il via ad una tristissima tradizione che consiste nel mettere a tacere chi tenta di svelare verità losche e inconfessabili.
Ecco perché ricordare Siani, sebbene con un gesto simbolico quale l’accensione e la rimessa in moto della sua vecchia auto, diventa un dovere di tutti i cittadini campani ed italiani. Perché è proprio questo il punto centrale della questione: ricordare coloro i quali hanno speso tutto per manifestare dei diritti, delle idee o semplicemente delle passioni.
Così, in una giornata all’insegna della memoria, migliaia di persone hanno potuto assistere al giro della “spiaggina”, come la definisce Saviano, per le vie di Napoli, città che lo stesso Saviano definisce “feroce e cattiva”, “crudele con i suoi figli”, la cui unica speranza è riposta negli studenti, “alleati di Siani”, poiché fanno parte della “parte più giovane, quella meno politicizzata” , quella che ha ancora “sogni, aspirazioni e ambizioni”. Forse è proprio vero: non ci rimane che sperare nella nuova generazione.
Una generazione che ha, purtroppo, tante vittime da ricordare, ma che proprio da queste può imparare che la propria vita e la propria dignità non devono essere distrutte e fatte a pezzi da gente che in realtà non vale nulla e che per tale ragione farebbe meglio a restare imprigionata nella feccia in cui sguazza perennemente.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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