Ancora tre. Altre tre donne finite nelle grinfie della crudeltà possessiva di mezzi uomini, che si fingono innamorati per nascondere il proprio infimo livello umano, la propria vigliacca esistenza.  Non saranno le ultime, purtroppo. La sensazione peggiore quando si scrive di femminicidio (un termine orribile, ma utile a capirci subito) è che probabilmente l’articolo andrà aggiornato già domani o al massimo fra tre giorni. Perché in Italia viene uccisa una donna ogni 72 ore, mentre drammaticamente più breve (e impossibile da stimare) è l’intervallo di tempo in cui una donna viene ferita, picchiata, violentata, umiliata. O sfigurata. Come è accaduto ad una avvocatessa di Pesaro, che rischia di perdere la vista per via dell’acido che qualcuno, probabilmente su mandato del suo ex fidanzato, le ha versato in faccia. Per fortuna, però, è ancora viva e può lottare sperando di avere giustizia. 

A una ragazza ventiduenne di Montebelluna (Tv) è andata peggio. Uccisa, con un colpo di pistola alla testa dal suo ex, un quarantenne che subito dopo ha rivolto l’arma su se stesso e si è ammazzato. Stessa sorte toccata il giorno dopo a una donna di Ostia, pedinata in auto e uccisa dall’ex marito con un colpo di pistola. Storie quotidiane di orrore, che solo quando sono molto gravi finiscono sui giornali locali o nazionali. Storie che non possono più essere considerate come semplice cronaca, come un fatto qualsiasi o dei casi isolati. Su queste pagine lo abbiamo scritto più volte, siamo di fronte ad un’emergenza nazionale, qualcosa rispetto a cui bisognerebbe intervenire con forza, senza tentennamenti né mezze misure. Soprattutto puntando sulla prevenzione, perché la repressione è già sintomo di un fallimento, oltre che spesso impossibile, visto che capita che gli assassini si tolgano di mezzo da soli dopo aver dato il colpo di grazia.

Anche nei tre casi sopracitati si poteva intervenire prima, si poteva evitare che Lucia venisse sfigurata e che Denise e Michela venissero uccise. In particolare, negli ultimi due casi, gli assassini erano già stati oggetto di denuncia. Nel caso di Michela era già intervenuto il giudice, a seguito di una serie di denunce per maltrattamenti e inottemperanza ai provvedimenti della magistratura. Nel caso di Denise, l’uomo era stato convocato dai Carabinieri, che lo avevano avvertito di lasciare in pace la ragazza. Nonostante ciò, poco tempo dopo aveva ottenuto l’idoneità al porto d’armi, grazie a cui si è dotato della pistola con cui prima l’ha uccisa e poi si è suicidato. Un assurdo paradosso. Parliamo tanto degli Usa, della facilità di acquistare armi, e poi ci accorgiamo che in Italia un uomo che minaccia una donna e viene fermato dalle forze dell’ordine può in seguito ottenere un regolare porto d’armi.

E ancora: perché ci si limita ad un richiamo dei Carabinieri? Oppure perché un uomo denunciato più volte per maltrattamenti continua a rimanere a piede libero? La legge sullo stalking non è efficace, le sanzioni rimangono un’utopia, forse perché quando arrivano le denunce le si prende troppo alla leggera, le si considera come un problema tra coppie, si continua a pensare che si tratti di scaramucce di un ex innamorato che magari poi non metterà in atto gesti folli. I dati, però, dicono il contrario e mostrano la debolezza di una normativa che è lacunosa per quel che riguarda la certezza della pena, il sostegno della denunziante (nonostante il loro gran lavoro, i centri antiviolenza non possono raggiungere tutte le vittime e avrebbero bisogno di più fondi e di istituzioni più sensibili che li possano aiutare a 360 gradi), l’entità della sanzione, la durezza delle misure preventive e l’applicazione di misure restrittive nei confronti del persecutore.

Oltre a ciò, ovviamente, c’è bisogno di un cambio di rotta culturale, che deve partire dal contrasto al linguaggio e a tutta quella odiosa massa di etichette e stereotipi che si appiccicano alla donna partorendo mentalità che a loro volta producono mostri, contribuendo alla non-presa di coscienza di un problema che riguarda tutti noi, uomini e donne, di oggi e di domani. Perché le tragedie annunciate sono una costante e sono quanto di più triste e insopportabile esista. Evitarle e relegarle a incubi del passato sarebbe magnifico, ma non bastano né gli articoli né le manifestazioni di piazza. Servono mezzi legislativi precisi e su questo bisogna insistere, pur consapevoli che si ha a che fare con una classe politica intrisa di misoginia, inettitudine e ignoranza. Oltre che di complice indifferenza. La battaglia è ancora lunga. E di pagine come queste, purtroppo, saremo costretti a scriverne e leggerne ancora. Indignandoci e trattenendo i pugni e la rabbia, mentre nei luoghi deputati a provvedere si sbadiglia.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org