Ancora lui. Ovunque, in qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo. Un’ossessione che si attacca alla pelle degli italiani, al nostro modo di osservare gli eventi, di percepire la realtà. Un copione che sembrava ormai destinato a finire nella polvere di un vecchio cassetto buio e pieno di cianfrusaglie arrugginite, macchie neanche tanto nascoste, squarci mal rattoppati. E invece eccolo ancora qui, con tutte le promesse finte, le smentite, le ritrattazioni fatte ad arte, le brutte figure, le volgarità. A volte ti viene il sospetto che non ce ne libereremo mai, perché in fondo è qualcosa di cui in troppi, in questo Paese, hanno bisogno. In troppi si sono affezionati. Perché c’è la necessità di parlare, commentare, discutere, ridere, incazzarsi, indignarsi.
E per far questo ci vuole un riferimento negativo costante, che non cambi mai, che sia immediatamente riconoscibile in ogni sua sfumatura, prevedibile fino all’inverosimile, a tal punto che ogni sua annunciazione, pur se prevista e ampiamente immaginata, finisce per essere spacciata come un’uscita a sorpresa, scioccante, irritante e assolutamente propagandistica, per chi ha un po’ di cervello, e persino devastante per i mercati o per chi ci osserva dall’estero. È come quando trasmettono in tv, per la decima volta, un film controverso e drammatico di cui ovviamente conosci già il finale e tu, imperterrito, fermi il telecomando e continui a guardarlo, per la decima volta, per poi discuterne rintracciando sempre le stesse pecche, gli stessi difetti, sottolineando con dispiacere qualche punto di forza: insomma continui a sprecare tempo e fiato. Inutilmente.
Così, questa campagna elettorale che si concluderà tra meno di due settimane forse ci era sembrata troppo molle, “fredda”, troppo basata sulla questione delle alleanze e sulle divergenze di vedute tra le varie formazioni in corsa per il parlamento e il governo del Paese. Certo, c’era il comico triste Grillo, quello dell’elogio ai camerata di Casa Pound, degli appelli ad Al Qaeda contro Roma e delle sfacciate smentite (condite ovviamente da controaccuse di fascismo) di immagini che tutti abbiamo visto e parole che tutti abbiamo sentito. Ma Grillo non era abbastanza. Avevamo bisogno di ravvivarla di più questa campagna, di trasformarne la fisionomia, di riempire pagine di giornali, riviste, siti (anche questo editoriale ne risente), social network con tutte le trovate e le sparate del signor B. da Arcore.
Proprio lui, rivitalizzato dalla scarsa memoria degli italiani e dal caos di un Paese che si muove tra un (troppo) annunciato abbraccio Pd/Casini-Monti e il populismo isterico di Grillo, è tornato ad occupare la scena. Se con le dichiarazioni su fascismo e leggi razziali probabilmente ha ottenuto solo l’effetto di far indignare praticamente tutti meno che Storace e qualche fanatico ignorante, con l’affare Balotelli ha recuperato il voto di qualche tifoso esagitato che probabilmente non sarebbe nemmeno andato a votare. Quindi, è arrivato l’annuncio di una proposta che avrebbe scioccato il mondo. Dopo la trovata sull’Ici, giocata nel 2006 nel faccia a faccia finale con Prodi, è arrivata quella, pressoché identica, sull’Imu. E infine la solita offensiva balla dei milioni di posti di lavoro (stavolta ha rilanciato fino a 4) che saprebbe creare.
I sondaggi dicono che stia recuperando, mostrandoci che alla fine la campagna elettorale è il suo campo di battaglia preferito e che gli altri sono un po’ meno bravi di lui a comunicare. Il punto però è un altro e questo i sondaggi non sanno dircelo: quanti sono gli italiani a cui i problemi che assillano il Paese e che sono stati spazzati via dall’ossessione, al limite del feticismo, per il Caimano interessano davvero? Tutto è stato frantumato, sacrificato al dio del nulla, alle logiche di audience, al senso di comico e grottesco che però è più infimo di una recita di quart’ordine. Sono spariti i temi che andrebbero affrontati con la massima serietà, almeno per quella parte d’Italia che soffre ogni giorno e si incazza ogni giorno, che non ha bisogno di ascoltare Berlusconi per riscoprirsi indignata.
La disoccupazione, i dati sui giovani laureati emigranti, all’interno o verso l’estero, l’istruzione pubblica, i programmi per la crescita e la ripresa, lo stato sociale, i problemi della sanità, i diritti dei migranti, l’ambiente, la lotta alle mafie, i diritti civili, la cultura: tutto sparito o comunque nascosto sotto il tappeto di fumo che il signor B. ha steso sopra. Lo stesso fumo con cui cerca di coprire il suo passato, quasi venti anni di barbarie politica, di scempio delle istituzioni democratiche, di scandali, cercando di presentarsi come l’uomo nuovo, rigenerato, illibato, come se fosse in grado di fare il lifting anche alla storia.
E ci siamo cascati tutti, anche quando abbiamo riso della divertente ironia che ha invaso la rete, sul tema delle “restituzioni di Silvio”. Bella idea, modo egregio di controbattere certe idiozie che spaventano perfino i mercati. Però, capiamoci: non serve a niente ridere di restituzioni fittizie. Abbiamo il dovere civico e morale di impedire che ci si caschi ancora, di incazzarci e di pretendere che ci venga restituita la politica vera così come il dibattito su quello che in questa nazione è drammatico e va assolutamente cambiato. Per un attimo, mi verrebbe da chiedere: “Restituiteci un Paese normale”. Poi, ripensandoci, mi accorgo dell’errore grave. E allora mi metto a urlare: “Riprendiamoci questo Paese e rendiamolo normale!”.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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