Sarà la crisi, sarà che i mass media hanno deciso di non prestarvi più particolare attenzione, ma da parecchi mesi ormai di immigrazione non parla più nessuno, se non quelli che con i migranti vivono e combattono ogni giorno e sanno quante difficoltà ci sono ancora da affrontare. Sembra quasi che non esistano più problemi e, a parte le promesse e le buone intenzioni annunciate dal ministro Riccardi o la scelta della Cancellieri di aprire i Cie ai giornalisti, non sembra che la situazione per i tanti immigrati presenti in Italia sia migliorata. Nessuna novità sul fronte degli interventi legislativi necessari per porre rimedio alle vergognose misure adottate negli anni dai vari governi (di centrodestra come di centrosinistra) e che hanno raggiunto il punto più basso con la legge Bossi-Fini e con l’ultimo pacchetto sicurezza voluto da Maroni, costandoci anche sanzioni da parte della Corte Europea per le continue violazioni dei diritti umani. Si è scelto di non fare, si è pensato che non fosse una priorità, almeno ufficialmente, perché poi, nelle segrete stanze, di immigrazione ci si continua ad occupare.

Come? Ad esempio, ma questo non ve lo dicono, continuando i rimpatri quotidiani di cittadini tunisini, messi sugli aerei e rimandati indietro, spesso con manette ai polsi e bocche incerottate, come emerso qualche mese fa dalla denuncia di un passeggero (“è la procedura”, “la prassi”, si difendono le forze dell’ordine). Oppure, ancor peggio, stipulando accordi dal contenuto segreto con la Libia, una nazione che è da decenni luogo di sfruttamento, tortura e morte per tutti i migranti che vi si trovano. Accordi che confermano quelli già fatti in passato dall’Italia, relativi alla lotta contro le organizzazioni criminali protagoniste della tratta di esseri umani, ma soprattutto al controllo delle frontiere e al rientro volontario dei migranti nei paesi di origine. Lo denuncia, nel rapporto “Sos Europe”, Amnesty International, che ha seguito da vicino il viaggio del ministro dell’Interno Cancellieri a Tripoli, dove ha incontrato, lo scorso 3 aprile, gli esponenti del governo transitorio libico. In quell’occasione il ministro italiano avrebbe siglato un patto che dà all’Italia il diritto di respingere i migranti in Libia, lasciando poi al paese africano la gestione del rientro degli stessi nei propri luoghi di origine.

I contenuti specifici di questo patto non sono noti, poiché il governo italiano si è limitato a dire che “l’accordo prevede collaborazione contro le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti, nella formazione per le forze di polizia, per il controllo delle coste e il rafforzamento della sorveglianza delle frontiere libiche, per favorire il rientro volontario dei migranti nei paesi di origine”. Nulla si dice a proposito dell’eventuale mantenimento dello strumento dei respingimenti alle frontiere, introdotto da Maroni e sanzionato dalla Corte Europea. Respingimenti che non si sono mai fermati per tutto il 2011, con migliaia di esseri umani rispediti in Libia e affidati alle autorità di un Paese in cui le forze di polizia si sono rese protagoniste, per anni, di violenze, stupri, torture, omicidi ai danni di uomini, donne, bambini, colpevoli solo di voler lasciare l’Africa per cercare fortuna in Europa. L’Italia ha deportato, così, migliaia di esseri umani poi finiti nei lager di Tripoli e delle altre città libiche.

Dopo la caduta di Gheddafi, il paese nordafricano è piombato nel caos e le violenze si sono moltiplicate, soprattutto ai danni di persone dalla pelle nera, trucidate perché spesso sospettate di essere mercenari al servizio delle forze di regime. Una situazione in cui il rispetto dei diritti umani è inesistente. Nonostante ciò, però, l’Italia ha pensato di firmare un nuovo accordo, lasciando che i migranti finiscano nelle mani delle autorità libiche, senza alcuna protezione umanitaria e senza considerare che molti di loro avrebbero diritto all’asilo nel nostro Paese. Una violazione terribile delle convenzioni internazionali sui diritti umani, una scelta assurda, disumana, vergognosa, che, come si legge nel testo del rapporto “Sos Europe”, può essere spiegata solo in un modo: “L’Italia nella migliore delle ipotesi ha ignorato la terribile situazione dei migranti. O nella peggiore delle ipotesi si è mostrata disponibile a passare sopra gli abusi dei diritti umani in nome del proprio tornaconto politico interno”.

Il silenzio aiuta i governi a compiere i misfatti peggiori e per ottenere silenzio c’è bisogno di complicità e connivenze: così, in questo Paese di disinformazione, la gran parte dei mass media, nonostante le denunce delle Ong e le interrogazioni parlamentari, ha taciuto, ha fatto finta di niente, perché Brindisi, la crisi, il calcio e qualche fatto di cronaca evidentemente meritano più spazio del destino atroce di migliaia di persone venute da lontano. Sull’immigrazione si è spenta la luce, forse perché politicamente, con l’indebolimento della Lega, non ha più appeal e non è più utilizzabile, strumentalizzabile. O forse perché non c’è partito che abbia la coscienza pulita in merito, visto che in tanti appoggiano questo governo tecnico e altri tacciono perché hanno un passato di eguale “statura” sul tema. E anche la stampa ha scelto di far dimenticare agli italiani cosa avviene al di là delle coste, dove il mare che bagna le nostre estati è un cimitero stracolmo di corpi sfiniti dalle lunghe agonie, spezzati e dilaniati dalle attrezzature dei pescherecci, mangiati dai pesci che poi finiscono sulle nostre tavole.

Un cimitero di ossa e di sogni infranti, un luogo in cui l’indifferenza di questa classe politica assume il nome di complicità in strage. Una strage continua, un vero e proprio genocidio. I figli del continente africano muoiono in mare ogni giorno, alle porte della Sicilia, come della Calabria e della Puglia, dentro le stive, sotto le onde, sotto i cassoni dei camion che valicano la frontiera. Sono 1500 le vittime, nel 2011, dei viaggi della speranza verso l’Italia. Millecinquecento persone finite sotto il mare nell’indifferenza e nel silenzio di tutti. A cominciare da quelle istituzioni che avrebbero potuto evitare queste morti, così come avrebbero potuto evitare di respingere in Libia uomini, donne e bambini, disperati, sfiancati, affidati alle mani violente e sporche di sangue delle autorità libiche. Le stesse istituzioni che, oggi, con personaggi e volti diversi sulla poltrona di comando, stipulano accordi segreti mostrando il pollice verso a chi chiede umanità e rispetto dei diritti fondamentali. Assassinio di Stato. Questo è il reato. E i mandanti hanno nomi e cognomi. Così come i loro complici nascosti. Non dimentichiamoli quando proveranno a smentire e a liberarsi delle proprie responsabilità.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org