Quando si scrive di mafia lo si fa normalmente per raccontare gli affari loschi, la rete di complicità, gli orrori, svelare le pratiche e i meccanismi delle organizzazioni criminali, dar notizia di fatti importanti, arresti, indagini, inchieste. Spesso si sceglie di raccontare le storie, le vicende di uomini e donne che fungono da esempi, da simboli di speranza e di impegno, di forza e coraggio. Magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, sindacalisti, sacerdoti, ma anche semplici cittadini, figli, padri, madri. E proprio di una madre eccezionale voglio parlarvi in questo ultimo numero dell’anno 2011, anche se avrei preferito farlo in un contesto diverso, avrei voluto scriverne in un’altra occasione, meno triste. Perché Ninetta Burgio, la madre coraggio di Niscemi, se n’è andata qualche giorno fa, al termine di una lunga malattia. E vi voglio raccontare qualcosa di lei, visto che ho avuto la fortuna di incontrarla e conoscerla nel corso di una manifestazione di Libera, a Siracusa.
Una donna minuta, esile, dallo sguardo dolcissimo e affettuoso. Ci incrociammo per caso, al suo arrivo. Si avvicinò, le strinsi la mano, ricambiato da un sorriso sincero. In attesa dell’inizio del corteo, parlavo di mafia e di racket con alcuni amici, discutendo di quello che non andava a Siracusa e provincia. Lei era li, ascoltava. A un certo punto, trovandomi da solo, si accostò e iniziammo a parlare. Il primo gesto che fece fu quello di mostrarmi la foto di suo figlio, un ragazzo dal volto gentile. Mi raccontò la sua storia, una storia terribile di orrore e di ingiustizia. Mi raccontò di quel suo figlio diciannovenne che un giorno scomparve nel nulla. Era il 3 settembre 1995: da quel giorno di Pierantonio Sandri non si ebbero più notizie. Per 14 lunghi anni questa dolcissima insegnante in pensione ha lottato per ottenere giustizia, per scoprire la verità sulla scomparsa del figlio e sui responsabili.
Una lotta durissima e lunga per difendere la memoria di un bravo ragazzo punito senza un perché. Un ragazzo che si è soltanto trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. E probabilmente ha visto ciò che non doveva vedere. Per questo è stato ucciso barbaramente e sepolto nelle campagne di Niscemi. I suoi resti sono stati trovati soltanto un paio d’anni fa, quando un collaboratore di giustizia ha rivelato di essere l’assassino di Pierantonio, indicando agli inquirenti il luogo dove effettivamente i resti sono stati recuperati. Quell’assassino che, con altri complici, ha ucciso Sandri, era un ex alunno di Ninetta. Quando me lo raccontò tenendo per mano la foto del figlio, rimasi colpito di sentirla parlare con un tono sempre pacato, come a sottolineare che il dolore, la rabbia e l’amarezza sono qualcosa da non ostentare, qualcosa di fortemente privato.
Ricordo che mi venne da pensare a mia madre, da sempre insegnante, per scelta, nelle scuole cosiddette a rischio, a cosa possa suscitare una tragedia simile in chi è madre e insegnante allo stesso tempo. Deve essere una tragedia doppia, pensai, per chi ha scelto, per mestiere e passione, di educare anche i bambini non suoi. Ricordo il suo discorso, al termine del corteo, dentro una chiesa di periferia, parole semplici ma capaci di scuotere, emozionare, lasciare senza fiato tutti coloro che le ascoltavano, ragazzi e ragazze delle scuole, quasi dell’età del suo Pierantonio all’atto della scomparsa e dell’assassinio.
Una donna esile dal cuore grande, dalla forza inarrestabile. Libera e don Ciotti sono stati i primi ad accoglierne il grido di giustizia e ad accompagnarla nella lotta per la verità e nel processo tuttora in corso. Proprio don Ciotti ha celebrato il funerale di Pierantonio, dopo il ritrovamento del suo corpo. E Ninetta questa vicinanza non l’ha dimenticata mai. Non perdeva occasione per ricordarlo. In quel pomeriggio, guardando don Ciotti che parlava con i ragazzi, Ninetta Burgio mi ripeteva con il suo sguardo di mamma che se non fosse stato per lui tutto sarebbe stato più difficile, mi raccontava del grande sostegno che il sacerdote di Libera le aveva dato.
Oggi Ninetta non c’è più. Ha aspettato di avere giustizia prima di andarsene. Ha aspettato di riavere suo figlio, quel bravo ragazzo che all’improvviso la mafia le ha portato via. Non smetterò mai di sentirmi fortunato per averla conosciuta e per aver parlato con lei, averne ascoltato il racconto in silenzio, cogliendo le sfumature del suo dolore e del suo coraggio, che si sono mischiati senza eliminare il garbo e la dolcezza di quel volto e di quello sguardo, la gentilezza di quei modi, di quella mano che si poggiava sul tuo braccio mentre ti mostrava la foto del suo amore più grande, un figlio per il quale ha combattuto una vita. Vincendo la sua battaglia contro ciò che è ancor più crudele della morte: l’oblio. Addio Ninetta, del suo coraggio e della sua forza ne faremo testimonianza.
Massimiliano Perna – ilmegafono.org
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