Il Ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, in una recente intervista al Corriere della Sera, ha affermato che “il congedo di maternità è un privilegio. Una donna normale – ha detto la Gelmini, diventata madre da poco – deve certo dotarsi di una buona dose di ottimismo, per lei è più difficile, lo so; so che è complicato conciliare il lavoro con la maternità, ma penso che siano poche quelle che possono davvero permettersi di stare a casa per mesi. Bisogna accettare di fare sacrifici”. Premesso che in Italia, come in altri paesi civili, esiste una legge, la numero 53 del 2000, che prevede “L’OBBLIGO e il DIRITTO” per la madre lavoratrice di astenersi dal lavoro per cinque mesi (retribuiti al 100% o all’80% dello stipendio a seconda dei contratti), come è possibile che un rappresentante del Governo, e tanto più colei che dovrebbe occuparsi dell’istruzione in Italia (la Gelmini appunto), non sappia che tutte le lavoratrici dipendenti, e da pochi anni anche quelle a progetto (precarie), sono tutelate da quella legge? Certo la Gelmini non è una lavoratrice “dipendente” e tanto meno a progetto, e il suo stipendio le permette anche di pagare babysitter a tempo pieno, ma è assurdo che non sappia o non si informi su quale sia la situazione delle madri che lavorano nel nostro Paese.
Già una madre, laureata in pedagogia e insegnante, Rosalinda Gianguzzi (http://lezionidibello.blogspot.com/2010/06/lettera-aperta-alla-gelmini-di.html), ha risposto nelle scorse settimane alle parole della Gelmini, spiegando molto bene i contenuti della legge 53 del 2000 (art.3), nonché le raccomandazioni degli studiosi di pedagogia sulla necessità di un contatto strettissimo tra il bambino e la madre nei primi sei mesi di vita. “Le abitudini arrivano dopo i sei mesi, fino ad allora è tutto amore”, scrive la Gianguzzi . “Non è un caso che studi recenti riabilitano il co-sleeping (dormire nel lettone) e i migliori pediatri sostengono la scelta dell’allattamento a richiesta. Il volere educare i bambini inquadrandoli come soldati, già dai primi giorni di vita, non solo è antisociale, perché una generazione cresciuta senza il rispetto dei suoi ritmi di crescita può essere inevitabilmente compromessa, ma è un comportamento al di fuori delle più elementari regole umane e naturali”. Leggendo queste parole non si può non considerare la situazione di altri Paesi, come la Svezia, dove l’astensione dal lavoro per la maternità è un diritto consacrato per il primo anno di vita e dove nessun ministro, per di più donna, si sognerebbe mai di definirla “un privilegio”.
In Svezia le lavoratrici hanno diritto ad un assegno prenatale per un massimo di 50 giorni e dopo la nascita i genitori hanno diritto all’assegno parentale per un totale di 450 giorni per bambino. 360 giorni sono pagati all’80% dello stipendio. In Norvegia il congedo è di dodici mesi con un’indennità pari all’80% dello stipendio, oppure 10 mesi con lo stipendio pieno. Nello stesso paese il padre è obbligato a prendersi un congedo di 4 mesi, pena la perdita del congedo per entrambi per lo stesso periodo. In Francia, il congedo dura fino a 16 settimane per il primo figlio, arriva a 36 per il terzo figlio e i nidi sono pagati dal Governo. Potremmo fare altri esempi, ma non è necessario: negli Stati europei, inclusa l’Italia, il congedo di maternità (ex astensione obbligatoria) è un diritto e un dovere riconosciuto e in molti di essi si dà un grande valore a chi ne usufruisce. In Italia, però, come testimonia la Gelmini, la maternità è un “sacrificio”, mancano gli asili nido e, nella maggior parte dei casi, le agevolazioni per le madri lavoratrici sono concesse solo a poche fortunate che hanno un “posto fisso”. In Italia non si fa altro che parlare della famiglia e della tutela del nucleo familiare, ma poi, nei fatti, la Gelmini ha ragione: fare un figlio non è “naturale”, è un privilegio, e le “madri normali” devono fare degli enormi sacrifici per mantenere un posto di lavoro.
Giorgia Lamaro –ilmegafono.org
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