Milano, 19 ottobre 2013. Piazza Beccaria si riempie di ragazzi di gente, di volti. Tantissimi hanno il volto giovane, giovanissimo. Hanno una vita davanti a loro, ma hanno fretta e voglia di vivere. Hanno coraggio. Ognuno di loro ha in mano un mazzo di fiori, quasi tutti hanno un gran foulard al collo su cui spicca il volto di una donna che ha voluto sfidare la vita, la propria famiglia e un paese intero. Ha voluto sfidare la ‘ndrangheta, ha perso la vita ma ha salvato sua figlia. E quella piazza è lì per lei e per Denise, sua figlia. Ricordo tutto di quella mattina di ottobre. Ricordo l’emozione e gli occhi lucidi delle belle persone che erano su quella piazza e che la facevano sembrare ancora più luminosa.

Ricordo gli sguardi che s’incrociavano e si cercavano e ricordo quei ragazzi che sembravano voler fare coraggio a chi aveva tanti anni più di loro. Anche i loro occhi erano lucidi, ma il loro sorriso restituiva intatta la gioia e la giusta “arroganza” dei vent’anni e anche molti meno. Nessuna paura nei loro sguardi, anzi. Esiste un linguaggio che i giovani di qualunque epoca e generazione, da sempre conoscono senza bisogno di molti insegnamenti: è il linguaggio della solidarietà. A vent’anni si può avere paura di tutto perché la vita qualche volta fa paura. È una sfida, ma a vent’anni il coraggio vince sempre questa sfida.

Ricordo una ragazza che suonava un violino accanto alla bara di Lea, di quello che restava del corpo di Lea. Quel violino era poesia allo stato puro nel silenzio della piazza. Ricordo la voce di Denise che da qualche parte, protetta e nascosta, ringraziava tutti coloro che avevano scelto quella mattina per salutare sua madre un’ultima volta. Denise che voleva che i funerali di sua madre fossero celebrati a Milano e che fossero “una grande festa, con tante persone”. Ricordo le parole di Don Luigi Ciotti, un prete così diverso dai tanti che non sanno dare un valore alla loro scelta. Quella mattina, in quella piazza, Milano ha scritto una pagina bella della sua storia. Quella pagina doveva avere un seguito, non poteva restare isolata e dimenticata.

Insieme con altri “Compagni di strada” decidemmo allora di prendere una sera per raccontare la storia di Lea Garofalo ai milanesi e a chi volesse ascoltarla una volta in più e per farlo ospitammo Marika De Maria, giornalista coraggiosa e con un cuore grande. Lei aveva seguito il processo per l’assassinio di Lea Garofalo giorno per giorno e, giorno per giorno, lo aveva raccontato sul giornale “Narcomafie”. Ma non si accontentò, serviva qualcosa di più, qualcosa che entrasse nel cuore e nella testa della gente e che restasse nel tempo: un libro, per esempio. Un libro che sapesse raccontare chi era Lea Garofalo e descrivere la sua storia, la sua vita e la sua scelta. E quel libro poteva avere solo un titolo: “La scelta di Lea”.

Ho conosciuto Marika in occasione di un incontro al Festival dei beni confiscati alle mafie qualche mese prima, sul finire dell’estate del 2013. Il tempo ha saputo preservare e coltivare quest’amicizia di cui sono orgoglioso. Quando le domandammo se avesse accettato che presentassimo il suo libro lei rispose con un sorriso che diceva tutto, la risposta più bella. Decidemmo di presentarlo in una biblioteca di periferia, alla Bovisa, perché ci sembrava che, in un posto così, un libro potesse sentirsi a casa propria, fra mura amiche. E anche la scelta della data, il 12 dicembre, ci sembrava giusta: è una data che per Milano rappresenta qualcosa che non potrà mai essere dimenticato. È una ferita che non potrà essere rimarginata.

Concordammo con Marika quali altri ospiti le sarebbe piaciuto avere accanto quella sera, fra questi accettò di essere con noi un ragazzo giovanissimo, non ancora ventenne: Giulio, studente della Bocconi e rappresentante del Presidio Lea Garofalo, lui come tanti altri ragazzi sempre presente in quell’aula di tribunale durante il processo ai Cosco. Non era facile stare in quell’aula di tribunale, gli occhi del clan erano puntati anche su di loro. Ma loro erano lì, arrivavano da ogni parte d’Italia e ad ogni udienza erano più numerosi. Quella serata rimarrà uno dei ricordi più cari, la gente affollò quella biblioteca e a notte forse qualcuno usci da quella biblioteca più ricco e più consapevole di cosa fosse la presenza della ‘ndrangheta a Milano.

Quella serata servì a raccontare cosa accadeva in via Montello, a due passi dal Parco Sempione nel centro bello e nobile di Milano. Quella serata raccontò chi era Lea, quella giovane donna di Petilia di Policastro che aveva osato sfidare le ‘ndrine, quali fatiche e quali drammi aveva dovuto affrontare, quante volte aveva dovuto scappare, ricominciare, asciugare le lacrime e trovare il coraggio e la forza di andare avanti comunque. Perché andare avanti comunque era l’unica strada possibile per salvare la figlia e regalarle la vita una seconda volta. Credo che questo Paese debba molto a Lea Garofalo. Il coraggio e la dignità insegnano sempre qualcosa a chiunque, o almeno così dovrebbe essere.

Oggi si parla finalmente del valore che hanno i “testimoni di giustizia”, che non sono la stessa cosa dei “collaboratori di giustizia”. Nel marzo del 2017 la Camera dei deputati approva all’unanimità il testo per la protezione dei testimoni di giustizia e dei loro congiunti, parenti o conviventi. Come si legge in un pezzo di Articolo21 «il testo, scaturito dalle indicazioni della commissione Antimafia a prima firma della presidente Rosy Bindi, è stato approvato il 9 marzo 2017 con 314 voti a favore e zero contrari. Passa quindi al vaglio del Senato».

La storia di Lea è stata importante anche per questo. Oggi via Montello, a Milano, è cambiata. Sarebbe cambiata senza il coraggio e la lotta di Lea? Forse, o forse no. La storia del casolare di via Montello è una storia lunga, durata tanto tempo. I ragazzi di “Stampo Antimafioso” hanno saputo raccontarla bene in una sola pagina (leggi qui).

24 Novembre 2017, Milano. C’è una pioggia che cade, sottile che quasi non si sente. E ci sono le fiaccole portate dai tanti giovani che hanno scelto di ricordare Lea Garofalo in quella via che era diventata il simbolo della sua condanna e della sua ribellione alla ‘ndrangheta e alla sua famiglia. E cammini volentieri sotto quella pioggia che non si sente, perché è bello camminare accanto ai ragazzi di Libera, di Stampo Antimafioso, ai ragazzi che durante il processo decisero di essere al fianco di Denise e venivano da ogni parte d’Italia. Denise, la figlia di Lea Garofalo.

E parli con loro, rivedi Martina dopo tanto tempo. E la mano corre sul telefonino perché vuoi chiamare Marika, giornalista testarda e coraggiosa che quei giorni del Processo li ha vissuti uno per uno e li ha raccontati su Narcomafie e poi ha scritto un libro che resta nel cuore (il già citato “La scelta di Lea”). La chiami, e le racconti che quei ragazzi sono ancora quelli che lei aveva conosciuto in quei giorni, solo più adulti e ancora più determinati. E poi entri in una scuola, dove tre attrici giovanissime, le ragazze della “Compagnia del Bivacco”, ti emozionano per un’ora parlando dei fiori che non hanno fatto in tempo a crescere, perché soffocati dai rovi e dalle sterpaglie.

Solo un fiore si è salvato: Denise, perché sua madre è andata incontro ai rovi e alle sterpaglie, la sua morte per salvare la vita del suo giovane fiore. Milano è anche questo, e la pioggia sottile non la senti nemmeno.

Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org