Dopo l’approvazione (mutilata, tra l’altro) del Ddl Cirinnà sulle Unioni civili, sembra che il caso mediatico più in voga delle scorse settimane abbia subito una battuta d’arresto: i “post rainbow” sui social sono sempre più scarsi, le opinioni in merito si fanno meno pungenti, mentre omofobi e conservatori continuano indisturbati la loro opera di sensibilizzazione al rovescio. È proprio da quest’ultimo punto che bisogna ripartire per continuare a parlare della questione legata ai diritti civili. Fortunatamente siamo in democrazia, liberi di esprimere idee e condividerle, ma è lecito chiedersi fino a che punto possa arrivare la libertà d’espressione e fino a che punto quest’ultima non diventi un’arma letale per muovere le coscienze in senso contrario a quanto la maggior parte dei paesi evoluti riesca a considerare come civiltà.

L’eco delle dichiarazioni di Angelino Alfano, felice di aver scongiurato una rivoluzione “contro natura” all’indomani della discussione in Senato sul ddl Cirinnà, è ancora molto forte, così come lo sono i dubbi relativi alla validità della legge. Alcuni esponenti delle forze politiche più importanti del paese, Movimento 5 Stelle in primis, sono ancora in forse, nonostante lo stralcio della stepchild adoption, mentre dal versante Pd, il capogruppo dei deputati Ettore Rosato fa sapere alla stampa di voler tornare alla discussione “il prima possibile nel rispetto del regolamento della Camera”, senza apportare modifiche alla legge.

Una nube ancora confusa, se osservata dall’esterno, forse sdegnosa per chi, invece, si sente direttamente coinvolto nella questione, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Sembra che, passato il santo passi anche la festa, puntando l’attenzione sulle onde qualunquiste scatenate dall’utero in affitto di Nichi Vendola, diventato da poco padre insieme al suo compagno, e dai presunti squilibri mentali recati dai figli di coppie arcobaleno, sulla scia de “Ai bambini chi ci pensa?”. Il passaggio storico segnato dal ddl Cirinnà è stato più volte offuscato dalla volontà di segnare ancora una volta delle differenze tra l’assortimento di coppie e tipologie di unioni, consegnando il contentino del “senza obbligo di fedeltà” a chi voglia sentirsi più al sicuro nel proprio nido fatto di illusioni e distacco dalla realtà.

Fatto sta che tra ostruzionismi di sorta e cavilli sparsi, il rischio di arrivare a maggio inoltrato per l’esame finale della legge è molto alto, quasi una certezza. Ed è alto anche il rischio di una vittoria mutilata per riuscire ad accontentare tutte le parti in gioco.

Il punto è che siamo in un paese in cui tutti s’indignano, ma si tende ancora a dare importanza alle questioni di forma, spacciate per morale da chi non ha altro modo per giustificare un pensiero ormai antistorico. Quel che conta è l’uguaglianza tra cittadini, garantire parità a chi sceglie un progetto di vita piuttosto che un altro, nel rispetto di una civiltà che l’odio prova a ledere. È una lotta ancora lunga da combattere se pensiamo che il padre di un feroce assassino, ancora oggi, si preoccupa di allontanare suo figlio dall’immagine di presunta omosessualità, piuttosto che denunciarne l’efferata crudeltà. Il tempo darà ragione a quella parte di società che ha deciso di mettersi al passo con la storia, scegliendo di non ignorare le voci di chi vuole sentirsi uguale anche davanti alla legge.

Laura Olivazzi -ilmegafono.org