Telecom venduta a Telefonica. O meglio, Telefonica incrementa la propria partecipazione in Telco, la società che controlla Telecom. Quando si parla di questi argomenti sembra di parlare di Risiko. Ci sono le regole, ci sono le carte da pescare (mettiamo che siano le condizioni macroeconomiche generali), ci sono i carri armati, che di solito sono i capitali, e ci sono i giocatori. Come nelle migliori partite (quelle cioè che non finiscono quasi mai) i giocatori sbagliano, sono stanchi, si arrabbiano. I nostri giocatori, gli italiani, sono cotti. Anzi, decotti. E non da poco, da una vita.

La vicenda Telecom non fa che confermare la crisi che attraversa una buona parte dei nostri colossi industriali (in senso ampio). È fin troppo facile ricordare le recenti, si parla di qualche anno, cessioni di noti brand italiani. It’s the market baby, ci direbbe il più laico dei liberisti, e come dargli torto. In fondo viviamo in un sistema in cui cose come le quote azionarie hanno un valore e chi ne detiene la titolarità è pienamente legittimato a disporne. Telecom, si deve ricordare, è la protagonista di innumerevoli lezioni universitarie con le sue acquisizioni.

Colaninno prima, Tronchetti Provera fino a Telco, si sono succeduti nel controllo dell’impresa, senza mai risollevarne le sorti. Visto oggi, un traghettamento fino all’inevitabile cessione. Rallegrarsi che qualcosa si muova, finalmente, in un senso almeno, sarebbe troppo facile. Il manuale di economia aziendale si chiude, con buona pace di studenti e ultraliberisti. In realtà, il vero guaio è che l’infrastruttura è ancora nel bilancio di Telecom e quindi di Telefonica, da qui il problema della strategicità, dal nostro punto di vista, della vicenda. Il governo, come sempre, chiude il cancello anni dopo che i buoi hanno trovato un’altra via di fuga.

La soluzione posticciata, raffazzonata, tristemente italica è pronta per l’uso. Intanto continuiamo ad avere una miriade di problemi, sia filosofici (da che parte vogliamo andare?), sia economico-giuridici sulla nostra imprenditorialità. Sin da troppo tempo non si fa una politica industriale, o almeno una politica per l’industria (senza scomodare piani pluriennali), che guardi lontano. Il mercato azionario del nostro Paese è ridicolo, spesso “sconveniente” nell’ottica di chi si deve quotare. Potremmo andare avanti per righe e righe a citare questioni economiche che altri stanno esaminando con più perizia e cognizione di causa.

Per non ripeterci, possiamo solo evidenziare come il problema sia una volta di più politico. Politiche sono le simpatie che hanno guidato Telecom nellCaltalena degli ultimi anni. Poi tutto tace, o peggio, dorme della grossa. Poi i nodi vengono al pettine e facciamo la solita figura meschina. L’eterno cerchiobottismo ci tiene prigionieri di una palude limacciosa. L’unica speranza che ci resta è che non troppi virgulti nati in questo Stivale se ne vadano, ma che invece restino e con lo schifo accumulato negli anni sappiano portare serietà e professionalità laddove, da quarant’anni, mancano.

Penna Bianca  –ilmegafono.org