Rivoluzione! Questa la parola forte e impropria che hanno usato i promotori della lunga protesta disseminata sulle strade siciliane. Mariano Ferro, l’agricoltore improvvisatosi nel ruolo di leader del Movimento dei Forconi, è stato il primo ad appropriarsi di questo termine senza arrossire. Tronfio come un pavone ha sciorinato le sue “teorie” di un populismo becero e deviante privo di obiettivi veri, denso invece di luoghi comuni e di farneticanti rese dei conti. Con la nascita di un nuovo clan denominato “Forza d’urto”, per raggruppare in un unico contenitore le diverse componenti (autotrasportatori dell’associazione Aias, agricoltori, artigiani, commercianti che non si riconoscono nelle associazioni di categoria) si punta arrogantemente ad autoproclamarsi come i depositari dei bisogni dell’intera società siciliana! Ma chi sono gli esponenti di questo movimento che trasforma problemi reali in generiche parole d’ordine qualunquiste o peggio in un attacco indistinto e forsennato contro tutti (politici, sindacati, associazioni di categoria, la stessa chiesa) senza alcuna distinzione, mettendo tutti nello stesso calderone, facendo leva su pulsioni forcaiole?

Chi è Mariano Ferro, un agricoltore esuberante o invece un modesto personaggio che, prima di assumere le vesti di un tribuno della suburra e di capopopolo di un “movimento” ribellistico siciliano, ha tentato senza fortuna di far carriera attraverso il grande bazar di Forza Italia, prima come candidato a sindaco nel comune di Avola e poi come sostenitore nelle fila composite del Mpa di Raffaele Lombardo alle ultime elezioni regionali? È forse calato l’oblio su un personaggio come Richichi, che scatenò in Sicilia circa 12 anni fa un movimento selvaggio degli autotrasportatori e che si rese responsabile di atti di violenza e di danneggiamento contro altri autotrasportatori che non volevano aderire alla protesta? Non ci si è accorti che sulle iniziative del clan “Forza d’urto” e già nel movimento cosiddetto dei Forconi si è inserita in modo aperto “Forza nuova”, la formazione neofascista di estrema destra che cerca di inserirsi da protagonista per trasformare il malcontento in azione eversiva?

Non a caso in Sicilia i Morsello, padre e figlia, che appaiono organicamente collegati a Forza nuova, rivendicano di essere i veri leader del movimento dei Forconi, e in Calabria, in Puglia, nel Lazio, si fanno avanti altri squallidi personaggi per dare la loro impronta fangosa e purulenta al movimento. La reazione tardiva di Mariano Ferro contro i Morsello e Forza Nuova, con i quali prima ha dialogato, appare più come un tentativo di non incrinare il suo ruolo di primo attore nella protesta in corso che come un atto di ripulsa. È dunque un involucro untuoso e repellente che cerca di avvolgere la protesta per finalità che appaiono confuse o forse oscure, che alimentano spinte centrifughe o di un vetero indipendentismo funzionale soltanto a gruppi di pressione dal Dna incerto, su cui sembra aleggiare, come ha denunciato Ivan Lo Bello, il respiro di ambienti mafiosi. È vero che la Sicilia paga per la crisi un prezzo terribile.

Oltre il 40% dei giovani non trova sbocchi occupazionali e vede compromessa ogni speranza nel futuro; gli indici del lavoro nero, senza alcuna protezione e senza diritti oscilla tra il 30 e il 40%; nelle aree industrializzate si estende a macchia d’ olio il sistema della paga globale (paghe onnicomprensive che non vengono corrisposte neanche in caso di infortunio o malattia); la precarietà e il sottosalario sono una costante in tutti i settori produttivi. È vero che l’agricoltura vive un momento di grave difficoltà a causa degli alti costi di produzione, che il rincaro dei carburanti ha ulteriormente appesantito, delle difficoltà di accesso al credito per il forte indebitamento, della scarsa remunerazione dalla vendita dei prodotti agricoli rapinati da una filiera commerciale di avvoltoi, del grave danno prodotto dalla grande distribuzione, che attraverso i grandi megastore prolificati in tutto il territorio siciliano immettono prodotti anche di scarsa qualità sul mercato penalizzando le produzioni siciliane; della mancanza di un uso corretto delle risorse finanziarie regionali e comunitarie, spesso utilizzate per altri scopi.

E tutto ciò si ripercuote sulle attività collegate (artigianali e commerciali) alle produzioni agricole. È ancora più vero che le istituzioni e gran parte della rappresentanza politica regionale e nazionale fino ad oggi non sono state in grado di dare risposte ai problemi del territorio siciliano, che c’è uno scollamento netto tra i bisogni della gente e la classe politica. La politica nel senso comune è diventata sinonimo di corruzione, di affarismo, di ruberie e di malaffare. Ed è su questi sentimenti di malcontento che qualcuno ha pensato di far leva per scatenare un meccanismo di rivolta. Ma è pensabile che la bandiera di una mobilitazione per far avanzare processi di giustizia sociale e di sviluppo possa essere affidata a padroncini, a capipopolo dalla dubbia identità, ad agitatori ambigui o in malafede, a imprenditori agricoli che hanno utilizzato e utilizzano gli immigrati come schiavi nei loro terreni, che hanno ricreato in molte parti il sistema del caporalato?

Gli operai, i disoccupati, i giovani, le donne, gli studenti, gli imprenditori, gli artigiani, che in questi giorni ho incontrato nei presidi che hanno paralizzato la zona industriale della provincia di Siracusa, da Priolo ad Augusta, ponevano problemi reali che richiedono risposte urgenti e non demagogiche. In un’area territoriale come quella siracusana dove si produce un terzo dei prodotti petroliferi nazionali e il 10% dell’energia elettrica, dove i guasti prodotti da un industrialismo invasivo hanno determinato gravi danni all’ambiente e al territorio,  la richiesta che emerge con forza è quella di interventi urgenti per il lavoro, fuori da ogni logica di favori clientelari, utilizzando gli ingenti investimenti previsti per le bonifiche ed il risanamento ambientale (circa 700 milioni di euro) e non creando nuovi ecomostri come il rigassificatore. Emerge un atto d’accusa contro la manipolazione degli appalti pubblici, contro una genia di politici (soprattutto di centrodestra) che hanno ingannato la gente, contro l’inerzia dei sindacati.

C’è anche una forte critica verso le nuove misure del nuovo governo, che penalizzano soprattutto i ceti più deboli, ma anche le imprese, le attività produttive, le attività dei pescatori, come il rincaro enorme dei carburanti, e c’è  la richiesta (legittima) di intervenire sulle azioni vessatorie delle agenzie di riscossione dei debiti (Serit in particolare). Si percepisce una forte volontà di reazione che può esprimersi come un vero movimento popolare per costruire una prospettiva diversa. Ma per andare in questa direzione occorre costruire un rapporto con tutta la popolazione, isolare la cattiva politica, far emergere dai movimenti forze nuove e trasparenti che antepongano il bene comune agli interessi di parte.

Ma queste aspirazioni e questi bisogni non hanno nulla a che spartire con la strumentalizzazione del malcontento avviata dalle proteste di questi giorni. La scelta di Mariano Ferro e di Richichi  di continuare la protesta ad oltranza è il chiaro segnale di creare il caos, determinando soltanto crescenti disagi alle popolazioni, danneggiando la stessa economia isolana, per ottenere cosa? Gli interessi di parte che questi signori rappresentano cosa hanno a che spartire con i  bisogni generali dei siciliani? Allora forse tutti quelli che si sono lasciati trascinare in modo inconsapevole in questo vortice protestatario dovrebbero forse meglio ripensare a mettere le loro energie al servizio di una causa collettiva da costruire sul territorio con l’apporto di tutta la comunità per far avanzare una vera richiesta di cambiamento.

Salvatore Perna –ilmegafono.org