L’idea diffusa di un’Europa indisponibile e chiusa alle migrazioni, portò la celebre sociologa Laura Balbo a definirla, agli albori degli anni Novanta, come una cittadella-fortezza, un luogo che rifiutava di essere approdo per chi fuggiva in cerca di un avvenire migliore. O semplicemente di un avvenire possibile. Erano gli anni in cui, in Italia, i flussi migratori stavano iniziando ad avere un po’ più di consistenza, anche se erano ancora lontani dalle dimensioni che, a causa dell’esplosione di nuovi conflitti e dell’aumento degli effetti del cambiamento climatico e della globalizzazione, avrebbero raggiunto successivamente. Il dibattito politico mostrava tutta l’ostilità di una parte dell’Italia, Paese di emigranti, nei confronti di chi faceva la stessa esperienza dell’emigrazione scegliendo lo Stivale come destinazione o passaggio. Era l’Italia nella quale i repubblicani di La Malfa, i fascisti dell’Msi e la Lega Nord di Bossi popolavano il fronte più acceso degli ostili, di chi propagandava l’idea dell’assedio. La fortezza, dunque, era la risposta e, seppur con sfumature diverse al suo interno, piaceva anche alle forze di governo, incluso il PSI.

Il tutto avveniva dentro una nazione nella quale il razzismo aveva già prodotto le sue vittime. Il sangue di Jerry Masslo, nel 1989, a Villa Literno urlava ancora giustizia a un Paese che iniziava a scoprire di non essere affatto immune a logiche razziste, ora che doveva misurarsi con una maggiore presenza migratoria rispetto a quella, residuale e circoscritta, dei decenni passati. La definizione allegra e romantica di “italiani brava gente” iniziava a scricchiolare e probabilmente nessuno immaginava che quello fosse solo l’inizio. Un pessimo inizio, ma nulla in confronto a ciò che sarebbe poi stato in futuro l’atteggiamento del nostro Paese e dell’Europa nei confronti dei migranti. Non solo fortezza, non solo cittadella, ma anche avamposto nemico, spietato nei confronti degli esseri umani che provano ad attraversare le frontiere meridionali, marittime e terrestri, e di chi in qualsiasi modo prova ad aiutarli.

Insomma, in Europa, così come in Italia, non è cambiata l’idea di chiusura, non è mai stata abbandonata, di fatto, la costruzione della fortezza, nemmeno davanti alle tragedie da essa procurate. In poco più di tre decenni, l’immigrazione, soprattutto quella proveniente dall’Africa o dal Medio Oriente, è stata sempre vista come un problema. Ci sono state poche concessioni, ma palesemente interessate, come nel caso della iniziale accoglienza dei profughi siriani da parte della Germania, ma sono durate poco e si sono rapidamente schiantate su accordi vergognosi, come quello siglato con la Turchia nel 2016. L’Europa ha conosciuto la vergogna di Lesbo e quella dei Balcani, dove migliaia di esseri umani sono stati abbandonati per mesi o anni, in condizioni disumane, in campi profughi improvvisati, oppure sono stati respinti, cacciati via, malmenati, umiliati, sottoposti a una violenza inaudita. La stessa violenza e lo stesso stato di abbandono a cui abbiamo costretto i siriani in Turchia, dentro un Paese crudele, guidato da un presidente autoritario, che ha usato i migranti come proficua arma di ricatto verso un’Europa debole e pavida.

Gli accordi, dunque, ossia la più grande ferita della democrazia moderna sul tema dei diritti umani. Quello siglato nel 2017 dall’Italia del governo di centrosinistra (guidato da Paolo Gentiloni con la “preziosa” collaborazione di Marco Minniti) con la Libia e poi rinnovato da tutti i governi successivi, segna forse lo spartiacque più sanguinoso. Soldi e mezzi al governo libico e alla sua guardia costiera (entrambi attivamente coinvolti nella tratta di esseri umani) per respingere i migranti, camuffando in operazioni di soccorso quelle che in realtà sono attività vessatorie nei confronti dei profughi, che vengono sistematicamente sfruttati, violentati, torturati, rinchiusi nei lager e, in cambio di altri soldi, lasciati partire per poi essere ripresi e riportati all’inferno per ricominciare tutto daccapo, sempre se il destino non ha già deciso diversamente, ossia per la morte in carcere o in mare.

Sono quegli accordi a diventare prototipo per altri di egual tipo, stipulati con altri Paesi terzi, come ad esempio la Tunisia, dove oggi i migranti subiscono lo stesso trattamento dal regime (perché di questo si tratta) di Kais Saied. Violenze, stupri, torture e respingimenti nel deserto al confine con l’Algeria. Si chiama esternalizzazione delle frontiere, in poche parole si assoldano dei partner che possano fare il lavoro sporco, indisturbati, senza alcun rispetto dei diritti umani, in cambio di soldi, mezzi, concessioni economiche e commerciali. Si fanno con chiunque, anche con Paesi nei quali al potere vi sono dittatori (come fu anche nel caso degli accordi tra l’Italia e il Gambia dell’allora dittatore Jammeh, siglati sempre dal governo Gentiloni). Anzi, più è sottile il profilo democratico di un Paese e più stretta è la gabbia nella quale sono rinchiusi diritti e libertà fondamentali, meglio è. Significa poter operare con meno occhi indiscreti, senza o con pochi testimoni, magari anche più facili da minacciare.

Un po’ come si fa anche con l’attacco alle ong che operano sul Mediterraneo per soccorrere i naufraghi, dal momento che le operazioni coordinate di soccorso in mare sono state di fatto cancellate dieci anni fa. È questo un punto importante della strategia politica contro le migrazioni: il silenzio. La verità drammatica, indicibile, disumana va negata. Anche quando ormai è cosa nota, anche se ci sono giornalisti, attivisti, osservatori che l’hanno dimostrata e resa in carne e ossa, si può sempre negare. Basta nascondere e minacciare, basta ottenere le giuste coperture da un sistema politico e da buona parte dell’informazione mainstream le cui coscienze sono marcite dietro un ghigno crudele o una sadica indifferenza. La verità va demolita e respinta, magari sventolando contemporaneamente, in segno di trionfo, i dati (reali o artificiosi o parziali) che parlano di meno morti in mare o meno arrivi.

Menzogne, con le quali i governi saziano lo stomaco di popolazioni sempre più incattivite, stimolate nei loro istinti più feroci che diventano rapidamente crudeltà e razzismo, ma soprattutto voti. Menzogne, che non raccontano il destino tragico al quale abbiamo condannato chi, con l’avvallo e i soldi di Italia ed Europa, viene trattenuto dentro i lager, soffocato dentro gli scantinati del mondo, al di fuori delle nostre democrazie ipocritamente compiute. Quelle che negano il genocidio e nascondono l’orrore sotto il tappeto, appena al di fuori della porta di quella cittadella-fortezza che  continua a essere costruita e fortificata con mattoni impastati con il sangue degli ultimi e il silenzio degli ignavi.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org