Voghera, luglio 2021. In una notte d’estate i fantasmi si prendono la strada e scrivono la loro legge. Si sentono forti, forti del silenzio e della complicità delle istituzioni e di quella parte dei cittadini che li hanno votati ed eletti. Forti di quel senso del potere che si prende tutto e diventa una questione che esce dai confini della cronaca per entrare, con tutta la sua violenza, nel recinto della politica e della vita sociale. Voghera è un comune italiano della provincia di Pavia, poco meno di 40mila abitanti. Nell’ottobre del 2020 il centrodestra vince le elezioni amministrative e Paola Garlaschelli diventa la prima sindaca donna di Voghera. Nella sua Giunta, un posto di rilievo spetta a Massimo Adriatici: assessore alla Sicurezza, Polizia Locale e Osservatorio sull’Immigrazione. Ex funzionario di Polizia, avvocato, nel suo curriculum spicca anche il ruolo di docente universitario “di diritto processuale penale nel corso di laurea in Informatica Giuridica e per la Pubblica Amministrazione”.

A Voghera lo chiamano “lo sceriffo”. E lui ha un’idea tutta sua della sicurezza e del diritto, e questa idea è condivisa da tanti e non solo a Voghera. È condivisa dal segretario del suo partito, per esempio, al punto che, quando il corpo di Youns El Boussetaoui era ancora caldo, Matteo Salvini già parlava di “legittima difesa”. Youns El Boussetaoui aveva 39 anni, una storia difficile e una vita ai margini della società. In tanti hanno già scritto di lui: immigrato, un carattere che certo non lo ha aiutato nella vita, ma chi davvero conosce la sua vita e la sua storia, i suoi problemi? Aveva bisogno di aiuto, invece ha avuto un colpo di pistola. Uno “sceriffo” non ha tempo per capire e per aiutare, uno “sceriffo” viene pagato per mantenere l’ordine e la sicurezza nelle strade e Massimo Adriatici il suo compito lo svolgeva alla luce del sole e a petto in fuori.  Girava per le strade con la pistola in tasca, e ora a Voghera sembra che tutti lo sapessero.

Che strano, il giorno dopo tutti sanno sempre tutto…tutto quello che prima si è finto di non vedere e di non sapere, anzi prima andava bene a tutti. Poi, una sera d’estate, i fantasmi si prendono la strada e scrivono la loro legge. E su un uomo di 39 anni, ai margini, cala il silenzio della città e delle istituzioni. Perché questo è successo, anche quando il 24 luglio le associazioni antirazziste promuovono in Piazza Meardi una grande manifestazione, a cui aderiscono Arci, Cgil, Anpi, Rifondazione e Rete antifascista di Pavia. In quella piazza ci si ritrova per esprimere rabbia e indignazione per la morte di Youns El Boussetaoui. Fra gli altri ci sono anche i giovani e gli operatori della struttura che nel tempo aveva teso la mano a quell’uomo ai margini. Di lui ricordano che “se trattato con rispetto rispondeva con rispetto…”.

Nello stesso giorno il silenzio assordante delle istituzioni era rotto dal comunicato ufficiale del Sindaco di Voghera, Paola Garlaschelli. Fra le righe più inquietanti e inaccettabili di quel comunicato è doveroso ricordarne alcune: “Sono giorni difficili per la nostra comunità. Siamo increduli per la tragedia che si è consumata, scossi dal clamore che ha investito la nostra città e dalla strumentalizzazione mediatica che hanno assunto fatti che la magistratura è stata chiamata a chiarire. È successo qualcosa di molto grave che inevitabilmente ci induce a riflettere profondamente. È morta una persona in circostanze drammatiche e un assessore della mia giunta, persona stimata e rispettata in città, di cui abbiamo apprezzato il lavoro di questi mesi, è stato travolto da un fatto tragico.  Non sta a noi giudicarne le responsabilità o le colpe. Ciò che è accaduto ci ha colpiti profondamente, ma non fermati. Siamo stati chiamati ad amministrare Voghera e stiamo lavorando dallo scorso autunno con responsabilità, per valorizzarne le potenzialità e per migliorare la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini”.

E ancora: “Dobbiamo ricordare che ci troviamo in un momento particolare,  la pandemia ha risvegliato sentimenti di paura e diffidenza, a volte facendo emergere la parte più oscura della società, e siamo profondamente preoccupati che questa strumentalizzazione possa alimentare ulteriore rabbia e violenza”. Parlare di strumentalizzazione mediatica e dire che “un assessore della mia giunta, persona stimata e rispettata in città, di cui abbiamo apprezzato il lavoro di questi mesi, è stato travolto da un fatto tragico” diventa impossibile da accettare. Nessuna assunzione di responsabilità, nessuna parola di solidarietà e vicinanza verso la vittima e la sua famiglia, indifferenza totale verso il dolore degli altri.

Youns El Boussetaoui aveva due figli e aveva scelto di vivere di elemosine nella piazza di Voghera, da uomo solo, e da uomo solo è stato ucciso. La solitudine e il disagio che portano ai margini della vita non hanno diritto di cittadinanza, diventano una colpa da espiare. Troppo difficile fermarsi e provare a capire il disagio altrui, tendere una mano. L’indifferenza viaggia sempre in compagnia della cattiveria e le parole di Matteo Salvini sono gonfie di vigliaccheria quando afferma che “se a Voghera quel signore che è morto fosse stato espulso dopo i reati che aveva commesso, oggi piangeremmo una vittima di meno”. È il vecchio e sporco gioco di colpevolizzare le vittime, ma forse è questa la normalità a cui questo Paese si sta abituando e, soprattutto, questa è la società che cresce intorno a noi. C’è un solco che diventa ogni giorno più profondo, divide e allontana, fa male.

Sono in molti a scavare quel solco, e sono ancora di più coloro che in quel solco vedono cadere il diritto a essere parte integrante e attiva della vita di una città, di una comunità. Su questo solco la parte più sporca del genere umano avvelena i pozzi e costruisce il proprio castello, individua il nemico e l’anello più debole della catena e in questo solco costruisce la propria carriera politica e la propria fortuna. Quanto spazio viene concesso a chi scava questo solco? Quanta importanza e quanta visibilità viene data ad ogni loro dichiarazione, ad ogni loro parola?

Nelle strade i fantasmi raccontano la vecchia storia della sicurezza, seminano a piene mani la paura e il rifiuto verso chiunque rappresenti una differenza. Ma è una vecchia storia, appunto. Nel Novecento questa storia ha funzionato e i fantasmi hanno vinto per un ventennio intero. Poi sono stati cacciati, ma non se ne sono mai andati veramente: hanno solo preso tempo e fiato, hanno cambiato vestito e ora provano una volta ancora a riprendersi le strade e le vite degli altri. Questo Paese, ma non solo questo, non ha bisogno di sceriffi e non può continuare ad avere paura dei fantasmi, è ora di affrontarli e cacciarli via una volta ancora e per sempre dalle strade e dalla mente.

Maurizio Anelli (Sonda.life-ilmegafono.org