Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, poi ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli imprescindibili.” (Bertolt Brecht)

Sabato, 27 giugno 2020: le piazze delle città italiane si riempiono di migliaia di persone che protestano contro il “Piano del secolo” accolto con entusiasmo dalla destra israeliana e mondiale e che prevede una ulteriore espansione dello Stato di Israele nei territori palestinesi, con l’annessione di una gran parte della valle del Giordano e di altri territori della Cisgiordania, dove nel corso del tempo i coloni israeliani hanno già preso possesso di tutto quello che toglie vita e spazio ai palestinesi. L’annessione dei territori della Cisgiordania è l’antica promessa di Benjamin Netanyahu ai suoi elettori, e sta per avverarsi. Il governo di Israele ha promesso che entro il 1° luglio il piano verrà portato a termine, anche grazie al “via libera” e all’appoggio della Casa Bianca. Le elezioni presidenziali USA sono alle porte e il voto dei sionisti è fondamentale per il presidente Trump e per la sua amministrazione.

Ai palestinesi viene negata qualsiasi possibilità di autodeterminazione, per loro è prevista soltanto un’ipocrita autonomia sotto l’occupazione militare, economica e politica, di Israele. In fondo questo era l’antico obbiettivo di Menachem Begin, il fondatore del Likud che poneva le sue radici nel movimento sionista. Oggi Netanyahu è il leader del Likud, e sta per realizzare il progetto del suo fondatore. Sul dramma del popolo palestinese e sulle scelte dello Stato di Israele si potrebbero riempire pagine. Qualcuno molto più autorevole di me lo ha fatto e mi auguro che continuerà a farlo. La mia penna è infinitamente più piccola, ma mi basta comunque per scrivere l’indignazione e la rabbia che mi accomuna alle tante persone libere che hanno riempito quelle piazze.

L’indignazione è figlia di quella pagina di storia che si decide di capire, e conoscere, negli ultimi giorni di un’estate finita nel sangue: era il 1982 e i giorni di Sabra e Shatila sono stati uno schiaffo violento, forte fino al punto di impedire di voltare la faccia da un’altra parte. C’è sempre un momento dove le verità raccontate dai telegiornali e dai governi di turno non bastano più, e allora cerchi di andare oltre. La rabbia ha invece molte facce: per esempio l’indifferenza e il silenzio con cui gran parte del mondo occidentale ha assistito, e permesso, la lunga e brutale oppressione del popolo palestinese. Pochi altri Stati, nel mondo, hanno goduto dell’impunità e della tolleranza concessa ad Israele. Difficile, o forse fin troppo facile, provare a spiegare il perché. Credo che una delle prime risposte sia il mai rimosso senso di colpa per la vergognosa tragedia dei campi di sterminio nazisti e quel mondo occidentale, che per anni aveva finto di non vedere e di non conoscere la vera natura del nazismo ma anzi aveva partecipato in maniera attiva e complice a quella notte del Novecento, ha poi deciso di lavare la propria coscienza.

A questo si aggiungono gli interessi economici e le alleanze geopolitiche su un’area geografica di estrema importanza. Infine, il concetto di “razza” e quell’idea di supremazia di cui l’uomo non riesce proprio a liberarsi. L’insieme di troppe componenti che ha portato ad un’altra lunga notte di silenzi e complicità: dalla costruzione della “grande Gerusalemme” negli anni ‘70 fino ai muri di oggi; dalle bombe e dal sangue di “piombo fuso” al progetto di annientare ogni possibilità di vita e di umanità per il popolo di Palestina. La striscia di Gaza è il simbolo della notte palestinese, che prova a resistere ogni giorno un po’ di più per arrivare all’alba del giorno dopo.

Eppure, tutto questo non basta a chi, anche nel giardino di casa nostra, continua a nascondersi dietro il paravento della lotta all’antisemitismo, incapace di distinguere un fiore da un’erbaccia: ogni voce che si alza in difesa del diritto alla vita dei palestinesi si scontra contro un muro di accuse di antisemitismo. È una critica che offende e ferisce chi la subisce, ma che dimostra la pochezza intellettuale di chi la pronuncia e ne smaschera la malafede storica e politica: si finge di ignorare che il sionismo è, fin dalle sue origini sul finire dell’Ottocento, il vero nemico degli ebrei e pone le sue radici su quel progetto imperialistico di colonizzazione della Palestina che contempla la superiorità di una razza sull’altra. Il sionismo parla da sempre di una razza eletta, così come tanti anni dopo il nazismo parlava della razza ariana. Accusare di antisemitismo chi osa sfidare, e criticare, le politiche repressive e razziali dello Stato di Israele consegna nelle mani di quello stesso Stato l’arma per misurare in modo strumentale i governi amici e quelli nemici.

Dalla nascita del movimento colonialista ebraico i sionisti hanno sempre collaborato in sintonia con gli antisemiti più radicali; molti fra i migliori pensatori ebrei, antisionisti e oppositori delle politiche di Israele, sono stati messi ai margini della società e catalogati come nemici degli ebrei. Oggi la situazione non è diversa, penso per esempio a uomini come Moni Ovadia che dice: “… L’interminabile tragedia del popolo palestinese è tale e non ha pari non solo perché subisce l’ultra cinquantennale occupazione e colonizzazione delle proprie legittime terre da parte di Israele, dopo avere patito il processo di violenta pulizia etnica chiamata Nakba….”

Amareggia profondamente vedere che fra chi non comprende la tragedia del popolo palestinese, fra chi non trova il coraggio di schierarsi apertamente al suo fianco ma, anzi, alimenta in modo strumentale le accuse di antisemitismo, si riconoscano figure istituzionali che appartengono ad una parte storica dell’antifascismo italiano. Non è solamente un errore dal punto di vista storico e politico, è una sconfitta dal punto di vista umano.

Erano belle le piazze che sabato 27 giugno cantavano per la Palestina e per il suo diritto alla vita e all’autodeterminazione. Erano piazze vive, ricche di quell’umana dignità che rende gli uomini un insieme di colori e di idee, di progetti, di solidarietà. In ognuna di quelle piazze si sentiva il profumo e la voce di chi lotta tutta la vita. Era come se la voce di quegli uomini imprescindibili, come li chiamava Bertolt Brecht, ci gridasse di “… restare umani”. E forse era davvero così, e in quelle piazze la voce di Vittorio Arrigoni si sentiva davvero, c’era anche lui… Era in prima fila, dalla parte degli ultimi come sempre nella sua vita troppo breve. Lo Stato di Israele può cancellare case e territori, può costruire muri di confine e imporre il suo ordine con la forza, con i suoi soldati e con la complicità politica degli Stati Uniti e di gran parte del mondo, ma non riuscirà mai a cancellare la memoria di chi ha dovuto lasciare quelle case e quei territori, di chi chiede e aspetta da settantadue anni di vedersi restituire le chiavi casa. Canta Palestina, canta.

Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org