L’Amazzonia brucia, da sempre. Qualcuno sembra accorgersene solo ora, anche se da qualche giorno la notizia ha sempre meno rilievo sugli organi di informazione. Insieme all’Amazzonia brucia anche la vita del popolo della foresta, accanto a quell’idea di umanità che il mondo moderno (e il sistema che lo sorregge) ha sempre combattuto e umiliato. Il governo di Jair Bolsonaro porta avanti, dall’inizio del suo mandato, un piano dove l’Amazzonia rappresenta il più grande campo di estrazione di ogni beneficio del governo stesso. Alla guida del ministero dell’Agricoltura, Bolsonaro ha nominato Luiz Antônio Nabhan, latifondista e sostenitore dello sviluppo incontrollato dell’allevamento e delle coltivazioni di soia. È la foresta amazzonica che deve cedere spazio.

Accade però che il presidente Bolsonaro lancia accuse infamanti contro le ONG, indicandole come uniche responsabili degli incendi che, a suo dire, sono stati appiccati per gettare discredito su di lui e sul suo governo. Strano destino quello delle ONG, alle quali vengono tagliati i fondi in ogni parte del mondo: nel nostro Paese sono accusate di essere trafficanti di uomini, mentre in Brasile sono accusate di incendiare e cancellare la foresta. Eppure Jair Bolsonaro non ha mai nascosto le sue intenzioni e il suo disprezzo per gli indios e per la foresta, sia durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali, sia dopo l’inizio del suo mandato. Idee violente e mai mascherate: “Nemmeno un centimetro quadrato in più agli indios e nessun margine per i movimenti dei senza terra, clandestini comunisti…”, è stata per mesi la sua promessa elettorale.

Tutto si può dire di Jair Bolsonaro, tranne che abbia nascosto la sua natura e la sua idea su come intendeva gestire il potere che il Brasile avrebbe consegnato nelle sue mani: uomo dell’estrema destra golpista brasiliana, ex-ufficiale dell’esercito e nostalgico di quella dittatura militare durata vent’anni, apertamente xenofobo, razzista e omofobo. Eppure nell’autunno del 2018, in molti hanno brindato alla sua vittoria, arrivata grazie all’appoggio dei grandi capitali del Brasile e non solo. Matteo Salvini fu tra i primi a complimentarsi con lui, peccato che in molti abbiano già dimenticato.

L’Amazzonia brucia, da sempre. E da sempre c’è stato chi ha lottato per salvare l’Amazzonia. Un nome su tutti: Chico Mendes, un “Giusto della foresta”. Negli anni ‘70 si intensifica a dismisura lo sfruttamento dell’Amazzonia e i latifondisti iniziano i grandi disboscamenti: da quel momento Chico Mendes inizia la sua battaglia in difesa degli indios dell’Amazzonia e di quella foresta che appartiene agli indios e all’intera umanità. Una difesa che si fonda sulla non-violenza e sulla costruzione di una “alleanza tra i popoli della foresta” che comprende tutti: bianchi, indios e seringueiros, tutti dalla stessa parte, uniti per l’affermazione e la difesa collettiva di diritti negati, consapevoli che le idee camminano solo se condivise e vissute insieme agli altri.

Chico Mendes, raccoglitore di caucciù, attivista e ambientalista brasiliano, segretario generale del sindacato dei lavoratori rurali di Brasiléia e artefice della nascita del sindacato a Xapuri, sa che nessun potere sarà mai al suo fianco. Nell’isolamento e nella solitudine riuscirà però a trasformare la “Câmara Municipal” di Xapuri in un’assemblea permanente, capace di rivolgersi a tutte le componenti politiche, sociali e religiose della città. Eppure anche il suo stesso partito, il Movimento Democrático Brasileiro, lo lascia da solo. Arrestato e torturato in seguito alla feroce repressione messa in atto dal governo contro i braccianti, continua la sua lotta su ogni fronte. Sarà uno dei protagonisti, nel 1980, della nascita del “Partido dos Trabalhadores”, il Partito dei Lavoratori. Arrestato una volta ancora e accusato di tutto, compreso l’omicidio di un sindacalista. L’accusa si dimostrerà infondata e il relativo processo si dimostrerà una montatura terribile ai suoi danni.

Infine la svolta definitiva, l’ultima battaglia contro i mulini a vento del latifondismo e del potere: è l’anno 1985 e Chico Mendes è alla guida del primo congresso nazionale dei “Seringueiros “, i raccoglitori di gomma di caucciù che vivevano nella foresta. È da quel momento che diventerà il riferimento politico e sindacale delle popolazioni indigene dell’Amazzonia e delle loro rivendicazioni. Nel 1987, l’organizzazione dell’Onu per la tutela dell’ambiente conferisce a Chico Mendes il premio Global 500 e, in seguito alle sue denunce, una delegazione delle Nazioni Unite inizierà un’azione di verifica sulle attività di disboscamento compiute dalle grandi multinazionali e società finanziarie americane, colpevoli di creare oltre al danno ecologico e ambientale anche una disoccupazione forzata e l’allontanamento degli indios dall’Amazzonia.

Ma “non esistono poteri buoni” e la lotta contro i latifondisti è una lotta impari, le carte sono segnate: il 22 dicembre 1988 Chico Mendes viene assassinato a colpi di fucile davanti alla porta della sua casa. È una morte annunciata e ad eseguire la sentenza saranno Darly Alves da Silva e il figlio Darci, proprietari terrieri. Verranno per questo condannati in seguito come mandante ed esecutore del delitto, ma nel febbraio del 1992 la Corte d’Appello statale di Rio Branco annullerà la condanna a Darly Alves da Silva.

Non è vero che gli uomini sono tutti uguali. Gli uomini nascono uguali ma il tempo e la vita cambiano le carte, le rimescolano e gli uomini seguono strade diverse. Qualcuno vende cuore e sentimenti, qualcun altro compra senza badare al prezzo. Altri, invece, restano uomini per sempre. Francisco Alves Mendes Filho, per tutti Chico Mendes, resterà un esempio per molti di noi. Lui, che all’età di nove anni smette di frequentare la scuola per imparare a raccogliere il lattice dall’albero della gomma. Imparerà a leggere e scrivere solo da adulto, figlio e “giusto della Foresta”, simbolo di quel movimento globale capace di capire la differenza che passa fra il falso progresso e il progresso che non contempla la distruzione dell’ambiente.

“Fermo come un albero, Libero come un uomo” è il titolo del libro che Miriam Giovanzana, giornalista professionista e tra i fondatori del mensile “Terre di Mezzo”, ha scritto per raccontare chi era Francisco Alves Mendes Filho, per tutti Chico Mendes. “All’inizio pensai che stavo combattendo per salvare gli alberi della gomma, poi ho pensato che stavo combattendo per salvare la foresta pluviale dell’Amazzonia. Ora capisco che sto lottando per l’umanità”. (Chico Mendes).

L’Amazzonia brucia, da sempre. Hanno abbattuto un albero, ma “non si uccide la vita, la memoria resta…ricordati di un amico, ricordati di Chico ” cantava Augusto.

Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org