“Donna, nera, lesbica e dei bassifondi. Rompeva gli schemi, in un sistema machista, omofobico e misogino. È per questo che l’hanno uccisa”.

Si chiamava Marielle Franco, per l’anagrafe di Rio de Janeiro Marielle Francisco da Silva, e quelle parole che raccontano chi era sono state pronunciate dalla sua compagna Monica Benìcio. Sono parole forti ma chiare e cariche di verità. La vita di Marielle è finita a trentotto anni, uccisa in un agglomerato di favelas dove vivono almeno 130mila persone: il quartiere di Estacio. Marielle era un’attivista per i diritti delle persone LGBT ma non solo: il suo cammino comincia nella favela di Maré, dove nasce. Poi arrivano una figlia, nata nel 1998 quando lei aveva solo diciannove anni, e una laurea in Scienze Sociali. Comincia nelle favelas la sua battaglia per i diritti delle donne, che la spinge in una lotta senza quartiere fino alla fine. È soprattutto una battaglia per i diritti delle donne nere, che in Brasile rappresentano la periferia, il punto più debole e più vulnerabile della condizione femminile.

Entra in politica e nel 2016 si candida con una coalizione formata dal Partito Socialismo e Libertà e dal Partito Comunista Brasiliano: viene eletta con la carica di consigliera nella Câmara Municipal di Rio de Janeiro. In quel Consiglio municipale dirige la Commissione per la difesa delle donne e diventa membro della commissione che avrà il compito di monitorare l’azione della Polizia di Rio de Janeiro. In più occasioni denuncia gli abusi e la violenza della polizia. Marielle sta scrivendo la sua condanna a morte, probabilmente ne è consapevole, ma non si ferma.

Rio de Janeiro è una grande città e, come in tutte le grandi città, è ricca di zone oscure dove la politica s’intreccia con le mafie e il mondo corrotto degli affari. È il corto circuito della legalità e del diritto, e Marielle si mette di traverso a tutto questo: c’è un grande affare immobiliare che si sta realizzando, una speculazione che riguarda un enorme lotto di terreni, un affare da milioni di dollari e Marielle lo denuncia, prova a impedire quest’affare che coinvolge nomi importanti in Brasile, nomi che fanno paura. La notte del 14 marzo 2018, Marielle Franco partecipa a un dibattito presso la Casa delle donne nere per parlare della violenza contro le donne afroamericane nelle favelas. È l’ultima sera della vita di Marielle, l’ultima occasione per far sentire la sua voce libera: quella stessa sera una pistola chiude la porta in faccia alla sua vita.

A casa, Monica Tereza Benicio, sua compagna di vita e di lotta quotidiana, aspetta un ritorno che non potrà più essere. “Donna, nera, lesbica e dei bassifondi. Rompeva gli schemi, in un sistema machista, omofobico e misogino. È per questo che l’hanno uccisa”. La sua battaglia e la sua vita spesa accanto alle donne per il rispetto dei diritti umani e civili non è la sola causa del suo assassinio. Marielle Franco era una spina nel fianco di quel potere che pensa di comprare tutto con il denaro e con la violenza. Lei poteva solo gridare con tutta la forza che il cuore trasmette alla voce, e lo faceva senza paura: contro la violenza della polizia nelle favelas, contro i narcotrafficanti, contro la violenza subita dalle donne.

Troppa forza e troppo coraggio in quella voce, per questo qualcuno doveva fermarla prima che potesse arrivare ancora più lontana e ancora più forte. La storia di Marielle lascia un segno e una ferita, è una storia d’amore e di umana resistenza alla vita. Nella lettera che Monica Benìcio scrive per l’ultimo saluto alla compagna della sua vita c’è tutto un mondo di amore e di gratitudine, c’è la storia della loro vita vissuta e troncata.

È passato un anno da quel 14 marzo e Jair Messias Bolsonaro è il nuovo Presidente-Padrone del Brasile. Uomo della destra più estrema, razzista e fascista, militare e amico dei militari, Bolsonaro rimpiange i tempi della dittatura: “La situazione del Paese – dice – sarebbe migliore oggi, se la dittatura avesse ucciso più persone…”. La morte di Marielle non è dimenticata e, negli ultimi tempi, si sono aperti scenari che gettano molto più di qualche ombra sui legami fra i vertici della mafia-paramilitare e la politica. Spuntano nomi importanti, s’intrecciano in un nodo sempre stretto tutte le porcherie che Marielle aveva sempre denunciato e combattuto.

E fra i nomi che contano ne spunta uno in particolare, quello di Flavio Bolsonaro, il figlio maggiore del presidente. Da poco eletto senatore, nel suo staff aveva assunto la madre e la moglie di Adriano Magalhães da Nóbrega, ex capitano e comandante della milizia “Escritório do Crime”, conosciuta come una delle milizie più violente e corrotte della città. Monica Benìcio aveva denunciato anche questo, senza nessuna paura: “Il Brasile vive una situazione in cui gli attivisti per i diritti umani sono a rischio, quello di Marielle è stato un attentato politico in cui esisteva un interesse specifico… Lo Stato, il sistema. Lo stesso Stato che ora gestisce le indagini sull’omicidio e che non rivela nulla su come stiano procedendo. Con Bolsonaro la democrazia è in pericolo, i suoi discorsi d’odio mettono in una posizione complicata chi in Brasile difende i diritti umani” (leggi qui).

Monica ha raccontato a tutti i suoi dubbi e le sue certezze, consapevole che quella donna coraggiosa e amante della vita, la sua Marielle, “incarnava tutto quello che in Brasile viene osteggiato: donna, nera, lesbica e dei bassifondi… è per questo che l’hanno uccisa”. Il potere non poteva tollerare a lungo quella donna e la sua voce e, come sempre, il potere ha una sola soluzione per mettere a tacere una voce. Oggi quel potere trema nei piani più alti della sua roccaforte. Ma il potere ha sempre tanti amici, dentro e fuori dai confini di casa, ha contatti e appoggi, ha i soldi, ha sé stesso: il potere. Il silenzio sprezzante di Jair Bolsonaro nei giorni della morte di Marielle Franco era accompagnato e sostenuto dalle calunnie dei suoi sgherri: Marília Castro Neves, Giudice della Corte di giustizia di Rio de Janeiro, arrivò a sostenere che “Marielle non era solo una combattente ma era fidanzata con teppisti e non ha rispettato gli impegni con i suoi sostenitori“.

La stampa legata alla destra brasiliana e amica di Bolsonaro attribuì l’assassinio di Marielle alle bande criminali che agivano nel Paese e nulla di più, accusando la sinistra di voler sfruttare politicamente l’omicidio di Marielle.  Altre voci però si alzavano forti e senza alcuna paura, in Brasile e nel resto del mondo. Voci che hanno reso il giusto omaggio a Marielle chiedendo verità e giustizia. Un grande artista come Caetano Veloso ricordò Marielle il giorno dopo la sua morte in un concerto: “Avevamo accettato di venire per celebrare l’apertura del Queermuseu a Rio, come gesto di resistenza contro l’oscurantismo, e siamo rimasti sorpresi da un gesto brutale di forze oscure“.

Questa, in poche righe, è la storia di Marielle Francisco da Silva. È la storia di una donna forte e coraggiosa che amava la vita. La amava a tal punto da metterla in gioco sapendo che poteva solo perderla. Una vita vissuta fino alla fine accanto alla compagna che amava, forte della sua presenza. Sono tante le donne che in ogni angolo del mondo lottano tutti i giorni contro qualcuno e contro qualcosa che nega il diritto di vivere. Non basta un fiore regalato l’8 di marzo per mettere le cose a posto e lavarsi la coscienza, a volte anche la mimosa si vergogna di quel commercio che usa le donne una volta di più. La voce delle donne chiede molto di più e lo fa con quel coraggio che tante volte fingiamo di non sentire.

Il 14 marzo è appena passato, solo una settimana dopo l’8 marzo. E il 14 marzo Marielle Francisco da Silva veniva uccisa con quattro colpi di pistola in una strada di Rio de Janeiro, a pochi passi dalla Casa delle Donne Nere. “Era una donna, nera, lesbica e dei bassifondi. Rompeva gli schemi, in un sistema machista, omofobico e misogino. È per questo che l’hanno uccisa”.

Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org