Se una violenza terribile come quella dello stupro di gruppo ai danni di una turista inglese a Sorrento passa in secondo piano, sfugge e fa meno notizia dei continui aggiornamenti sulla noiosa saga del governo in formazione, vuol dire che in questo Paese c’è qualcosa che non va. Soprattutto se di fronte a questo orrore nessuno prende posizione, organizza fiaccolate o quantomeno propone una soluzione per combattere la cultura della sopraffazione e del branco. Forse, il minore interesse è dovuto al fatto che i carnefici sono tutti italianissimi e quindi non ci sono elementi razziali da utilizzare per brandire l’arma sporca della strumentalizzazione. Ad ogni modo la politica ha scelto il silenzio.

Fatta eccezione per qualche articolo apparso sui principali quotidiani o per l’interessamento di qualche trasmissione, questa notizia è stata generalmente trattata come un caso di cronaca qualsiasi, con la conseguenza di lasciare la pericolosa sensazione che ci si sia assuefatti a questo genere di crimini. O che li si valuti tali soltanto se a compierli è uno straniero. Eppure quello di Sorrento non è un crimine qualsiasi, un fatto casuale, isolato. C’è molto di più.

Lo stupro di gruppo, la violenza del branco mostrano una evoluzione allarmante, una preoccupante componente strategica. Una pianificazione inquietante: la scelta studiata della vittima e del giorno più adatto all’attuazione del piano criminale, la droga sciolta nel bicchiere, la prima fase della violenza compiuta da due dei dipendenti dell’hotel, la seconda fase compiuta, con brutalità estrema, da un numero imprecisato di persone in una camera dormitorio per dipendenti. Quindi il dopo, l’agghiacciante ostentazione, le foto e le parole scioccanti in una chat condivisa dai mostri.

Una evoluzione della violenza, una involuzione dell’umanità. Una incredibile perversione mentale dentro il marciume morale di uomini comuni, dalle facce normali, uomini che, come si evince dai dialoghi, probabilmente non erano alla prima violenza di questo tipo. Se pensiamo infatti che ciò è avvenuto nell’ottobre 2016 e la notizia è emersa soltanto in questi giorni, dopo la lunga attività di indagine degli inquirenti, non è detto che non vi siano altre vittime rimaste per il momento nel silenzio e nell’angoscia. La modalità della violenza, peraltro, collega spaventosamente lo stupro di Sorrento a quello di Pamplona, anch’esso avvenuto due anni fa, dove la violenza è stata programmata, la vittima scelta, ingannata, violentata con indicibile ferocia e poi umiliata ancora attraverso la diffusione di foto e video nella chat di gruppo degli stupratori.

La legge in Spagna ha prodotto una sentenza ridicola, mentre in Italia sappiamo bene che la certezza della pena è una chimera, così come la sua adeguatezza, ma non è questo l’unico problema. Qui c’è un tema che va oltre e che precede tutto, che riguarda la prevenzione di quello che è un atto molto simile ad un omicidio efferato, perché segna  le vittime, le uccide dentro e le costringe a un percorso durissimo e complicato di rinascita. Il problema qui è il tipo di società che si sta costruendo. Non ci sono tanti discorsi sociologici da fare, sinceramente, perché si è già detto molto, ogni tanto il mondo si sveglia e finge di occuparsi della questione, ma troppo spesso lo fa nella maniera sbagliata. In qualche modo, si chiede sempre alle donne di fare un passo avanti, di fare qualcosa.

Prima si chiedeva di non vestirsi in un determinato modo, di rinunciare alla propria libertà, poi si è passati a chiedere alle donne di non fidarsi, non accettare bevande, non rimanere sole con sconosciuti, non andare in posti isolati e bui. Poi, quando si è capito che tutte queste cose non hanno troppo senso e non salvano nessuno dalla possibilità di finire nella rete di aguzzini che, molto spesso, sono amici, conoscenti o perfino parenti, qualcuno timidamente ha spostato il discorso sull’educazione dei maschi. Anche in questo caso, però, si è chiesto alle madri di educare i figli all’amore e al rispetto per le donne. Insomma, in qualche modo, il maschio ne risulta sempre deresponsabilizzato. Una concezione inammissibile.

Qui non siamo più nel terreno della perversione istintuale e nella dimostrazione di forza bruta da parte di maschi violenti, ma siamo davanti a una violenza di genere che è culturale e si esprime già nel linguaggio, nelle logiche, nella diseducazione a quello che è il modo in cui ci si deve rapportare all’altro sesso. Siamo al trionfo funesto di una idea di maschio che è bestiale, spietata, volgare, idiota, crudele. Una idea di maschio che sono soprattutto i padri a insegnare, dentro a una società nella quale i modelli sono distorti, le manifestazioni maschili di sessualità, anche quando vanno ben sopra le righe, sono spesso accolte con un sorriso, alla stregua di una battuta, come se l’avance non richiesta, il complimento volgare, il giudizio provenienti da un maschio siano una sorta di dazio che le donne devono pagare alla natura di cacciatore che contrassegna i maschi.

Come se il linguaggio fosse poco importante. Ma non è così, perché il linguaggio non è solo un agglomerato di parole, ma anche un propagatore di significati che, a loro volta, costruiscono immagini, mentalità, concezioni, alle quali seguono azioni e comportamenti. Se il linguaggio dei genitori, dei padri, dei media, dei prodotti televisivi, di un certo tipo di prodotti musicali, della politica, della società nel suo insieme è quello che descrive la donna in un determinato modo, ne avvilisce la libertà di scelta, colpevolizza le vittime e la loro voglia di giustizia, esalta e deresponsabilizza il cameratismo, giustifica l’azione prevaricatrice del maschio che, anzi, più si mostra strafottente, puttaniere, duro, possessivo, insensibile, più si fa rispettare, più godrà del rispetto dei suoi pari, allora il problema è alla radice e soluzioni non se ne vedono molte all’orizzonte.

A parte una: uccidere i maschi, o meglio il concetto di maschio, uccidere la misoginia, uccidere l’arroganza, uccidere modelli maschili che si beano dell’orrore e della forza e hanno paura delle lacrime, della sensibilità, delle emozioni. Per salvare le donne, oltre a inasprire le leggi, ci resta solo una possibilità: uccidere i maschi e i relativi modelli e linguaggi. Possiamo farlo attraverso un grande movimento culturale che insegni da subito ai bambini che l’umanità è la nostra unica speranza di salvezza. E che, non a caso, è una parola femminile.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org