Quando in Sicilia nomini i Qbeta ti può capitare di vedere negli occhi di chi ti ascolta un lampo di gioia. Perché i Qbeta sono una delle band siciliane più note e più amate, che da anni riempiono le piazze con i loro live, facendo cantare e ballare migliaia di persone. Il loro leader, Peppe Qbeta, è un musicista che ama la contaminazione e le sperimentazioni e da questo suo amore nasce il nuovo disco, uscito a fine 2017. Si intitola “Annakiti” ed è stato realizzato insieme alla banda di Avola, comune in provincia di Siracusa. Oltre 40 elementi, diretti dal maestro Sebastiano Bell’Arte, per un album che è un tributo alla carriera di Peppe e dei Qbeta.

Una carriera di successi, collaborazioni proficue come quelle con Mario Venuti, Roy Paci, Lello Analfino dei Tinturia, Paolo Belli, solo per citarne alcune. La carriera di una band che ha girato la Sicilia e l’Italia, con momenti indimenticabili come il concerto del Primo Maggio a Roma, la sigla del Giro d’Italia 2011 insieme proprio a Paolo Belli, l’avvincente tour negli Stati Uniti e in America latina. “Annakiti” è un bellissimo esperimento, un trionfo di suoni, allegria, ritmi, ma anche di atmosfere più intime e romantiche. Dieci tracce che scorrono benissimo e comprendono quattro brani inediti e altri che fanno parte della storia dei Qbeta, oltre a due canzoni della tradizione popolare che sono stati riarrangiati.

La musica di questo disco è coinvolgente e ci pone al seguito della banda, come in una processione, ma senza altari e senza santi, con al centro la vita, le bugie, il mondo, il mare, l’ambiente, l’amore e, naturalmente, la musica. Annakiti, traccia di apertura inedita che dà il nome all’album, è una tarantella irresistibile che non lascia scampo e ci fa cantare e saltare. Menu mali ca c’è u mari ci prende e ci offre un ritmo gitano che sembra un gioco di leggerezza, ma che invece è un canto di denuncia e soprattutto d’amore per il nostro mare e per la sua bellezza da tutelare. In questo album, infatti, non c’è spazio solo per il clima di festa che la banda sa sublimare con tamburi, clarinetti e fagotti: così, la musica gioiosa delle prime due tracce si trasforma nel sound lento, profondissimo e struggente di Non piangere, una preghiera, rivolta alla propria amata, per chiederle di smettere di piangere lacrime piene di bugie.

Stidda di mari, altro inedito, è un brano dolcissimo. Qui l’arrangiamento della banda amplifica e sottolinea l’enfasi e l’amore, cadenzando un ritmo che sa essere lieve e aggraziato. In questa traccia, la presenza della banda è pertanto un valore aggiunto perché mostra le possibilità di accendere l’allegria, farla esplodere senza freni o coccolare con delicatezza un amore che sboccia. Dopo Perdutamente, brano che i fan conoscono già da tempo per il videoclip e perché suonato dal vivo, ma inciso per la prima volta e dunque da considerasi inedito, è il turno di A curuna, canzone tradizionale che Otello Profazio aveva rielaborato per l’indimenticabile Rosa Balistreri.

Il brano, riarrangiato da Peppe Qbeta, ci dà l’idea di essere al seguito di una parata di corte di altri tempi, con elefanti, danzatori e fiori. Stupendo il cambio di prospettiva e di sensazioni che ci regala. L’alchimia con la banda di Avola rende tutto più giocoso e semplice, più immediato e preciso. Perché c’è bisogno di un tempo esatto o di un levare. Ogni fiato, ogni cassa, ogni tromba sono indispensabili e unici.

Tu si bedda, altro pezzo della tradizione siciliana, reso eterno sempre dalla grandissima Rosa Balistreri, è un tocco di pura poesia e di incantevole passione: “Chiù assai ti talìu, chiù assai mi trasi ‘nta li vini, si comu l’acqua ca unni arriva ammodda, si comu o focu, ca unni pigghia abbampa” (trad: Più ti guardo, più mi entri nelle vene, sei come l’acqua che dove arriva bagna, sei come il fuoco che dove prende brucia). Si naufraga in una tempesta di amore e note, con la speranza che questo dolcissimo tormento che è l’amore non finisca mai.

Stupenda è anche A Banna, una canzone corale, un inno all’amore coinvolgente e tutto da ballare, perché questo bacio e questa banda sembrano accendere di mille luci la piazza e solleticare i piedi che non riescono a star fermi e si svegliano in una danza che tutti conoscono. Arrakkè, storico pezzo dei Qbeta, ci rapisce e ci sorprende, in questo riarrangiamento con la banda, con un assolo di fiati che si intrecciano tra loro, stridenti e riuscitissimi. È un brano misterioso e suadente. La voce di Peppe seduce e avvolge, somiglia a un canto africano e dona nuove sfumature a questo celebre pezzo.

U munnu è fora, traccia che chiude l’album, si sa ergere a fortezza, ci fa guardare tutto dal di fuori e ci regala una visione armonica e lontana di un mondo assopito, disperato, che si consola, stonato e affannato, cieco e distratto. Insomma, quello di Peppe Qbeta e della banda di Avola è un album meraviglioso, un mix di emozioni e suoni che fa bene all’umore e invita a non arrendersi e a sorridere alla vita, attraverso la musica e tutto ciò che essa sa esprimere, coralmente, insieme, mischiando esperienze, sentimenti, saperi, arte. Un disco che è il frutto di un lungo lavoro (come ci ha detto Peppe nel corso dell’ultima puntata di “The Independence Play” sulla nostra web radio) e che è stato registrato dentro un teatro.

Allora non vi resta che prendete posto, mettervi comodi e ascoltare questo originale ed avvincente spettacolo musicale.

FrankaZappa -ilmegafono.org

La copertina dell’album “Annakiti”.