14 Luglio 1938: pubblicazione del “Manifesto della razza”, dove al punto nove si stabilisce che “gli ebrei non sono di razza italiana”. Il regime fascista di Benito Mussolini cala la carta razziale sul tavolo da gioco. È un tavolo che incendierà l’Europa ma è una carta da giocare, per compiacere l’alleato tedesco e per esplicitare il pensiero fascista sull’argomento.

20 giugno 1952: nell’ordinamento italiano è definito il concetto di “apologia del fascismo” come reato (Articolo 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645 “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale, comma primo, della Costituzione”). È la Legge Scelba. La legge punisce con l’arresto dai 18 mesi ai 4 anni «…chiunque promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche».

25 giugno 1993: la legge n. 205 del 25 giugno 1993 è una norma della Repubblica Italiana che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. La legge punisce anche l’utilizzo di simbologie legate a suddetti movimenti politici. Emanata con il decreto legge 26 aprile 1993 n. 122 – convertito con modificazioni in legge 25 giugno 1993, n. 205 – è nota come legge Mancino.

In mezzo, prima e dopo queste date, le mille “sfumature di nero” di questo Paese sono davvero molte e hanno dato dimostrazione di ignorare le leggi e la Costituzione. È una storia che parte da lontano e che troppe volte ha trovato nello Stato una controparte morbida e complice. Nel giugno 1972, la Procura della Repubblica di Milano chiese alla Camera l’autorizzazione a procedere nei confronti di Giorgio Almirante, segretario del MSI-DN, per il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista. Il 24 maggio 1973 la Camera concesse l’autorizzazione a procedere con 484 voti contro 60.

L’inchiesta fu trasferita a Roma e mai portata a termine. Giorgio Almirante, attore protagonista delle leggi razziali del 1938 e segretario di redazione dal settembre dello stesso anno della rivista “La Difesa della Razza”, scrisse in seguito parole chiarissime sull’essenza di quelle leggi e sul pensiero fascista. Vale la pena rileggerle con attenzione ancora oggi (clicca qui) per ritrovare la similitudine con il fascismo attuale.

Oggi, gennaio 2018, in Italia le mille “sfumature di nero” sono più che mai vive e presenti. Fra poche settimane l’Italia andrà al voto e i movimenti fascisti stanno raccogliendo nelle piazze le firme necessarie per presentarsi all’appuntamento elettorale. Non è una novità: nelle elezioni del passato i simboli del fascismo non sono mai mancati così come non sono mai mancati i singoli esponenti di un fascismo mai cancellato dalla storia di questo Paese. Dal Movimento Sociale di Almirante ad Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, per arrivare alle sigle che oggi hanno raccolto questa eredità.

Adesso è il turno di gruppi che vanno da Forza Nuova a CasaPound. Anche in questo caso, come nel passato recente e non solo nel nostro Paese, il tutto avviene fra l’indifferenza delle istituzioni. Il reato non viene visto, viene ignorato. Eppure non manca la visibilità di simboli e proclami fascisti, non mancano riferimenti politici e sociali di chiara matrice fascista, non mancano i richiami razziali e xenofobi che sono passati dall’antisemitismo del 1938 all’odio per i migranti oggi. È sempre il concetto etnico e della superiorità razziale la costante del fascismo, di ieri e di oggi, in Italia e nel resto del mondo.

Eppure ancora oggi c’è chi considera il fascismo come un‘idea. La storia dimostra che il fascismo non ha diritto di cittadinanza nel libro delle idee. Il fascismo è un crimine, lo dice la storia. E qualora qualcuno si ostini a considerarla un’idea, ebbene quell’idea ha cancellato intere generazioni, ma nonostante questo è stata combattuta a e vinta da quelle stesse generazioni. È stata una battaglia pagata a duro prezzo, ma era l’unica strada capace di restituire dignità a questo Paese. Che i movimenti e i partiti che si richiamano al fascismo disprezzino e ignorino le leggi è nella loro storia e nel loro DNA, chiunque abbia aperto un libro di storia lo ha capito dalle prime righe sul Novecento e sulla nascita del fascismo.

È molto grave, però, che uno Stato ignori chi queste leggi le disprezza in continuazione contando sull’indifferenza dello Stato medesimo. C’è una linea di confine molto sottile fra l’indifferenza e la complicità e questa linea è stata superata molte volte nella storia di questo Paese dal dopoguerra a oggi. Abbiamo vissuto anni che non potranno mai essere dimenticati, anni che hanno insegnato molto e per i quali abbiamo pagato prezzi troppo alti. Dalle stragi fasciste impunite ai tentativi di colpo di Stato che hanno sempre visto coinvolti pezzi dello Stato e delle istituzioni, la storia di questo Paese ha visto troppo spesso la colpevole assenza e il coinvolgimento di chi doveva fermare la ricostruzione di un passato che non può e non deve tornare.

E allora qual è il senso delle leggi che condannano il fascismo e la sua apologia? Ma, soprattutto, se questa Repubblica ha sentito la necessità di scrivere leggi in tal senso, chi e perché ha il diritto di ignorarle? E se qualcuno si ritiene in diritto di ignorarle, chi ha invece il dovere di farle rispettare cosa fa? Gherardo Colombo, nell’aula magna dell’Università di Macerata, qualche anno fa, affermava che «il sistema della Costituzione è ancora sconosciuto. Per cambiare, non bisogna modificare una legge, ma il nostro modo di ragionare di fronte a quella».

C’è un fondo di verità in quest’affermazione, ma il punto interrogativo allora diventa ancora più grande. Il modo di ragionare di fronte alle regole non può essere un’opzione per chi deve far rispettare le regole stesse che uno Stato si è dato, è un dovere. Se da sempre esiste chi non rispetta le leggi, o le regole, è inaccettabile che chi deve farle rispettare in realtà si giri dall’altra parte quando le leggi sono violate. E questo è il caso in questione. I fascisti di questo tempo provano ad aggirare e/o ignorare la legge, e nessuno li ferma. Perché? Sta prendendo piede una triste abitudine, anche nelle parole e nei comportamenti di chi dovrebbe assumere posizioni ferme e convinte su quest’argomento: “Non diamo visibilità a questi movimenti, ignoriamoli”.

È un grave errore, qualcuno l’ha già commesso tanti anni fa ed è stato un errore pagato per vent’anni da tutto il Paese. La visibilità i movimenti fascisti se la prendono da soli, non chiedono il permesso a nessuno. Se la prendono nelle piazze, nelle strade, nei quartieri di periferia dove spesso trovano preziosi alleati nelle criminalità locali e nelle mafie. Spesso se la prendono anche sugli organi d’informazione, nei salotti televisivi. E la esercitano. L’antifascismo è una pregiudiziale di cui questo Paese non può fare a meno, l’antifascismo è un diritto/dovere cui non ci si può sottrarre. E se l’antifascismo ha un prezzo da pagare dobbiamo essere disposti a pagarlo, perché è evidente che in questo Paese le “sfumature di nero” sono tante e raccolgono consensi e protezioni. Una cosa non potranno mai raccogliere: il nostro silenzio.

Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org