La plastica è il prodotto industriale perfetto: leggero, resistente ed economico. Ormai è un materiale insostituibile e lo ritroviamo ovunque, fin dalla nostra nascita: il ciuccio, il biberon, i giocattoli, gli alimenti e le bevande confezionate; la maggior parte degli oggetti di uso quotidiano è fatto di plastica. Ricordate il documentario “Bag it” (clicca qui per vederlo), ormai vecchio di sette anni? Sostanzialmente, il regista Suzan Beraza cerca di farci balzare agli occhi l’assurdo consumo di plastica, partendo dalle buste fino ad arrivare a tutti i contenitori usa e getta.

La cosa che più mi sconvolge: se ogni cinque minuti vengono consumate circa 2 milioni di bottiglie di plastica contenenti acqua proveniente da varie parti del mondo, che vengono trasportate da una parte all’altra del globo solo per il nostro gusto consumistico, una parte della popolazione mondiale non ha accesso all’acqua potabile. Comunque, già allora ci si poneva una domanda di cui forse non vogliamo sentire risposta: dove va a finire tutta la plastica che consumiamo? Chiedetelo ai Paesi del terzo mondo…

L’argomento “plastica” ha dato spunto non solo per una ricerca scientifica, ma anche artistica, come si può riscontrare nei lavori di Tony Cragg o Mandy Barker, che utilizzano la plastica frammentata per creare opere d’arte in grado di mostrarci quello che non riusciamo o non possiamo vedere. La plastica, oggi, non è solo parte integrante delle nostre vite. Purtroppo è parte integrante anche degli oceani, quanto il plancton o le alghe.

Secondo Vincent Perazio, autore del documentario Océans, Le Mystère Plastique (guarda qui il trailer), il mondo sta annegando nella plastica. Paradossalmente, la maggior parte dei rifiuti non si trovano vicino a noi, ma a largo, nel bel mezzo degli oceani. Kara Lavender Law della SEA (Sea Education Association) ha stimato che sulla superficie degli oceani si possono contare 50 miliardi di pezzi di plastica, grandi 5 mm. Solo in superficie. La dottoressa Law ha formato la più grande collezione di frammenti di plastica raccolti nei mari. Da questa ricerca ha potuto stimare che negli oceani si trovino 236 mila tonnellate di plastica, solo l’1% dei rifiuti che entrano nell’oceano ogni singolo anno. Ad oggi, infatti, vengono prodotte annualmente 300.000.000 di tonnellate di plastica, contro 1.500.000 degli anni ‘70.

Dove si trova il restante 99% di plastica dispersa nei mari e che effetto può avere sull’ecosistema? Sappiamo dell’esistenza sia di vere e proprie isole di plastica, per la precisione cinque zone di accumulo, due nell’Oceano Pacifico, due nell’Oceano Atlantico e una nell’Oceano Indiano, che di vortici di plastica, i quali contengono frammenti ancora più piccoli, che formano un insieme di microplastiche. È in esse che dimora il cuore del problema, perché le microplastiche sono più numerose delle macroplastiche e sono più tendenti alla dispersione. Esse sarebbero, tra l’altro, vettrici di alcune specie di alghe e crostacei e la loro dispersione negli oceani avrebbe gravi impatti sulla biodiversità e sul trasporto di agenti patogeni.

Negli oceani sono presenti due tipi di plastica: i polietileni, componenti delle buste o dei flaconi, e i polipropileni, che invece costituiscono tappi, cannucce, contenitori alimentari. Dove sono allora queste microplastiche? Si pensa che esse viaggino attraverso colonne di acqua e raggiungano i fondali marini, innalzando il rischio per la fauna marina. La scarsità di luce e ossigeno sui fondali, inoltre, rallenterebbe ulteriormente la decomposizione dei rifiuti.

Nel 2015, 560 specie marine, dal plancton alla balena, hanno ingerito o sono rimaste intrappolate in materiali plastici. Nel documentario, uno scienziato dice scherzando: “Non buttare le buste di plastica, condiscile e mangiale, tanto le ritroverai nel tuo stomaco!”. In effetti, alcune ricerche dimostrano la presenza di plastica nel 25% dei pesci, su un campione di acquisti effettuati in California e Indonesia. La plastica non è solo resistente ed economica, ma ha anche la capacità di attirare le sostanze inquinanti e questa potrebbe essere la causa di alcuni tumori riscontrabili nel fegato di pesci di appena 4 mesi.

Colin Janssen, ricercatore, sostiene che i consumatori abituali di cozze possano assumere all’anno circa 11 mila pezzetti di microplastica, che dai molluschi accedono ai tessuti inferiori dell’intestino, senza però causare evidenti danni alla salute umana. Quindi il cerchio è in effetti chiuso. La plastica che produciamo, alla fine dei conti, la assumiamo.

In questi mesi di vacanza molti di noi si recheranno al mare. Ecco, l’invito è quello di provare a guardarlo sotto un altro punto di vista, ma soprattutto di impegnarsi per rispettare l’ambiente che ci circonda, specialmente quello marino, che è più importante di quanto si possa pensare. Insomma, è vero che ormai siamo tutti (o quasi) discepoli del riciclo, ma questo non può e non deve giustificare un consumo eccessivo di plastica e, in particolare, dei prodotti usa e getta! Anche se non la vediamo, non significa che la cosiddetta “plastisfera” non esista.

Giulia Deiana (Sonda.life) -ilmegafono.org