Se per tutti questi anni si è pensato al riciclaggio dei vestiti usati come a un gesto di beneficenza, un atto d’amore e solidarietà nei confronti di poveri sconosciuti, da oggi saremo costretti a pensarci due volte prima di lasciare i nostri vestiti nei cassonetti gialli di raccolta. Sì, perché i famosi cassonetti, che da anni stazionano perennemente ai lati delle nostre strade o dentro i nostri condomini, sono diventati, a loro insaputa, dei veri e propri serbatoi del business criminale.

Secondo un’inchiesta realizzata da “l’Espresso”, le migliaia di tonnellate di vestiti donate ogni anno da milioni di persone avrebbero prodotto un ingente giro di denaro nelle casse della criminalità organizzata e, nello specifico, delle famiglie camorriste Birra-Iacomino e Ascione, poiché proprio questi due clan avrebbero gestito in maniera del tutto illegale lo smistamento e il riciclaggio degli stessi indumenti.

L’inchiesta segue attentamente l’evoluzione di un’indagine svolta dalla Dda di Firenze dalla quale è emerso che i due clan si sarebbero avvicinati a numerose aziende nell’area di Prato e dintorni, luogo dove i vestiti, raccolti dalle associazioni benefiche e dalle cooperative sociali, arrivavano e continuano ad arrivare in grosse quantità. Successivamente, queste stesse aziende (alcune in odor di mafia), avrebbero boicottato il processo di pulizia e selezione degli indumenti per rivendere gli stessi nei mercati della Tunisia e in quelli orientali (fra tutti la Cina), ottenendo quindi un ricavo del tutto illecito e per di più su prodotti igienicamente poco raccomandabili.

Le stime sui guadagni ottenuti dalle imprese e dalle cosche mafiose vicine alle prime si aggirano intorno ai 200 milioni di euro. Ciò deve far riflettere, soprattutto perché si tratta di un business che sembrava difficile da immaginare, ma che purtroppo esiste ed è la prova (semmai ce ne fosse bisogno) dell’abilità con la quale la mafia è in grado di reinventarsi, ma soprattutto di guadagnare e lucrare sulle spalle delle persone oneste.

Ovviamente, per ogni indagine seguono i nomi degli indagati ed uno dei dati più allarmanti sta proprio in questo; sarebbero tanti, infatti, i nomi delle persone coinvolte in questo giro malavitoso e molte di loro sono dirigenti (se non addirittura proprietari) di grosse aziende. Secondo la Dda di Firenze, l’impresa che più ha guadagnato dalle spedizioni irregolari sarebbe la Tesmapri, un vero e proprio colosso a livello italiano e conosciuta in tutto il mondo proprio per la commercializzazione dei vestiti usati.

Dai dati emersi, pare che la stessa azienda avrebbe smistato ben 25 mila tonnellate di vestiti non a norma verso i porti della Tunisia, ottenendo un introito di oltre 14 milioni di euro. Inoltre, all’impresa si contesta la presenza all’interno del Cda di figure vicine ad ambienti mafiosi e partnership commerciali con aziende di proprietà di alcuni esponenti dei due clan di Ercolano. Ma la Tesmapri non sarebbe l’unica azienda accusata di aver fatto cassa in maniera non lecita; a farle compagnia vi sarebbero ben 98 persone e 61 società indagate, a dimostrazione di un giro di affari dalle dimensioni enormi.

Ancora una volta, dunque, il malaffare ha trovato il modo di ottenere ingenti profitti infilandosi persino in un settore che ha come obiettivo principale la solidarietà e la beneficenza. Un settore a tutti gli effetti pulito e che dovrebbe essere garante di valori etici e morali inattaccabili. Donare un vestito, un paio di scarpe, un oggetto in generale non è un gesto qualsiasi, poiché donare qualcosa significa offrire la possibilità a gente più sfortunata di vivere una vita più umana, meno difficile (a patto che non si faccia come fanno quelli che scambiano quei cassonetti per rifiuti e ci buttano dentro vestiti più simili a stracci consunti che a indumenti dignitosi).

Quanto emerso dall’inchiesta de “l’Espresso” è inquietante e butta ombre pesanti che scoraggiano a continuare nell’opera di donare i vestiti attraverso il meccanismo dei cassonetti gialli. Ed è il danno maggiore prodotto dalla mafia: vale a dire generare sfiducia. Un vero peccato, perché il riciclaggio dei vestiti usati andrebbe preservato. Nulla è perduto, però: bisogna che le società e le istituzioni competenti prestino maggiore attenzione, ripristinino la legalità ed effettuino un controllo più intenso al fine di eliminare perversioni inaccettabili di questo sistema di condivisione solidale.

Giovanni Dato -ilmegafono.org