È accaduto lo scorso fine settimana, ma il disastro è stato reso noto soltanto in questi giorni dall’agenzia di stampa internazionale Reuters: in Israele si è verificato una sorta di tsunami tossico a causa del crollo di una diga di contenimento. Il muro, alto sessanta metri, impiegato per trattenere le acque reflue di un’azienda di fertilizzanti, ha ceduto lasciando riversare sul letto del fiume Ashlim ben 100 mila metri cubi di fosfogesso. Il danno si è esteso per circa 20 km, provocando una scia tossica capace di investire e distruggere tutto quel che incontrava, fino ad arrivare ad accumularsi in una depressione a pochi km dal Mar Morto.

La zona sembra ormai uno stagno tossico, mentre le aree interessate al passaggio dell’onda tossica riporteranno danni irreversibili alla flora e alla fauna, come sottolinea il ministro dell’Ambiente locale. Secondo quanto si legge sul sito Rinnovabili.it, è stato proprio il ministero dell’Ambiente ad avviare un’indagine sull’accaduto, visti i danni provocati. Pare, infatti, che l’azienda responsabile, la Rotem Amfert, che fa capo all’azienda Israel Chemicals, sia sotto inchiesta, perché un danno del genere poteva e doveva essere evitato.

Dopo l’incidente, nel paese si è registrato un calo delle azioni della società pari al 4%, anche se la situazione sembra essersi apparentemente ripresa. È, tuttavia, il fronte delle bonifiche a preoccupare. Secondo gli addetti ai lavori, la depurazione dalle sostanze tossiche richiede un lavoro molto lungo, ci vorranno anni per riuscire a bonificare il letto del fiume e i tratti di terra toccati dalla fiumana tossica. Le acque reflue, infatti, oltre alla grande depressione in cui si sono definitivamente fermate, si sono accumulate in tanti altri piccoli avvallamenti o depressioni del suolo, piccole quantità che possono comprometterne definitivamente l’equilibrio.

La produzione di fertilizzanti è ancora troppo influenzata da sostanze tossiche, talvolta radioattive, come nel caso del fosfogesso riversatosi nelle strisce di terra israeliane. La Israel Chemicals, anch’essa sottoposta ad indagine dal Ministero, detiene da sola i diritti estrattivi nel Mar Morto, oltre a produrre fertilizzanti e cloruro di potassio, una sorta di monopolio che consente forse troppe libertà negli sversamenti sulle zone interessate.

Siamo ancora di fronte ad una produzione forse troppo obsoleta se confrontata con gli standard green che dovrebbe imporre l’economia contemporanea; siamo di fronte ad una produzione troppo legata ad un tipo di produttività che punta soltanto al profitto. In un’ottica più lungimirante, anche la produzione di fertilizzanti guarderebbe al riciclo e al riutilizzo dei materiali, non all’utilizzo di sostanze radioattive.

Laura Olivazzi -ilmegafono.org