Alla conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante a livello mondiale per la protezione del Pianeta. L’Accordo di Parigi definisce un piano di azione globale per evitare cambiamenti climatici pericolosi, limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi. I governi di quasi tutti gli stati del mondo hanno concordato di mantenere l’aumento medio della temperatura sotto i 2 gradi per arrivare ad 1,5 gradi, così da ridurre in modo significativo i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici. Hanno concordato, inoltre, di ridurre nel tempo più rapido possibile le emissioni di CO2 in conformità con le soluzioni scientifiche più avanzate disponibili.

L’Accordo tocca diversi punti che impegnano governi ed enti locali a cooperare per ridurre le emissioni e prevede anche un sostegno internazionale continuo ai paesi in via di sviluppo perché possano raggiungere gli standard previsti. Gli Stati Uniti, nel 2015, hanno approvato senza reticenze di alcuna sorta l’Accordo di Parigi, così come tutti gli stati membri dell’Ue e del G7. Oggi però la situazione è cambiata.

Gli Usa di Donald Trump devono ancora “elaborare una politica climatica ed energetica”. Lo ha detto il segretario all’Energia statunitense, Rick Perry, nel suo primo confronto con i paesi del G7 a Roma, dove lo scorso 10 aprile si è svolta una riunione ministeriale presieduta dall’Italia. Per la prima volta nella storia del G7 Energia, i ministri delle sette economie più industrializzate al mondo non sono riusciti a trovare un accordo e firmare una dichiarazione congiunta. Il nostro ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ha chiarito, nella conferenza stampa al termine della riunione, che gli Usa sono in una fase di “revisione” delle loro politiche energetiche.

“Abbiamo preso nota del fatto che la nuova amministrazione degli Stati Uniti è nel processo di revisione di molte sue politiche – ha sottolineato il ministro -. Questo prevede la revisione delle politiche relative al clima e all’Accordo di Parigi”. Per questo motivo, “non è stato possibile firmare una dichiarazione congiunta”, ha detto Calenda, dato che non avrebbe coperto tutti i temi in agenda. “L’impegno degli altri membri del G7 e dell’Ue sull’attuazione dell’accordo di Parigi resta forte e deciso”, ha aggiunto. Calenda ha parlato di “dibattito positivo e costruttivo”, ma in realtà è molto difficile prevedere quale possa essere una futura politica ambientale dell’amministrazione Trump. Già durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa, così come nelle ultime settimane, era emerso un certo scetticismo da parte dell’entourage di Trump riguardo alla lotta contro i cambiamenti climatici.

A marzo, lo stesso Trump ha firmato un ordine esecutivo per smantellare le principali misure contro le emissioni decise dal suo predecessore Barack Obama. Mentre tutti i paesi del mondo si orientano verso l’eliminazione progressiva delle fonti fossili dal loro mix energetico, Perry, durante il G7, avrebbe chiesto ai suoi colleghi di inserire un riferimento positivo all’uso del carbone e di altre fonti fossili per produrre energia, scontrandosi con il rifiuto dei colleghi. L’idea alla base dell’irrigidimento dell’amministrazione Usa è che non ci siano connessioni dirette tra il surriscaldamento globale e i mutamenti climatici che causano alluvioni, uragani e altre catastrofi naturali e che per rilanciare l’economia statunitense sia necessario ridare vita all’industria del carbone.

Se la prima affermazione non ha alcun fondamento scientifico, la seconda invece non ha basi economiche che la giustifichino. Secondo molti economisti Usa, infatti, l’industria del carbone nel prossimo futuro userà sempre più le macchine e le nuove tecnologie e sempre meno gli uomini, con una conseguente riduzione dei posti di lavoro.

Gli stessi economisti sostengono che, malgrado le roboanti dichiarazioni di Trump, sarà comunque difficile per il suo governo smantellare in breve tempo quanto fatto dal predecessore. Fortunatamente gli incentivi allo sviluppo delle rinnovabili promossi da Obama sono sostenuti da molti deputati e senatori sia repubblicani che democratici. Inoltre, diversi Stati Usa sono contrari alla “non politica” ambientale di Trump e potrebbero opporsi ad una sospensione del piano di Obama, come hanno fatto nel caso del “muslim ban”, che vietava l’ingresso nel paese per un periodo di tre mesi ai cittadini di alcuni stati “musulmani”. La posizione assunta da Perry al G7 Energia e le decisioni prese da Trump non sono però incoraggianti per il futuro del nostro pianeta.

G.L. -ilmegafono.org