Era il marzo del 1994 e Ilaria Alpi era in Somalia e lavorava con passione e coraggio insieme a Miran Hrovatin, che conosceva bene la tenacia di Ilaria. Erano i tempi della missione “Restore Hope”, nata dalla Risoluzione ONU 794 che doveva, con quella missione, porre fine alla guerra civile esplosa dopo l’uscita di scena del dittatore Siad Barre. Ilaria era una giornalista preparata e indipendente, aveva studiato l’arabo e questo la rendeva ancora più libera in quella terra. Ilaria entrava nelle case degli italiani e raccontava quella Somalia e quella missione, “Restore Hope”, che letteralmente significa “Riportare la Pace”. Ma lavorava e raccontava anche altro: per esempio raccontava di traffici illeciti in cui il nostro Paese era pesantemente coinvolto, traffici a base di armi, di rifiuti tossici, di navi misteriose.

Raccontava quello scenario viscido e ambiguo, dove tutti conoscevano tutti e nessuno conosceva nessuno, dove i servizi segreti giocavano su tanti tavoli il gioco sporco dei servizi segreti. Non mi piace chiamarli servizi deviati perché per loro natura i servizi segreti sono deviati, da sempre e in qualunque posto. In quella terra, in guerra e nello scenario internazionale di quei tempi Ilaria sapeva che stava toccando fili scoperti e che la posta in gioco era altissima. Era una donna troppo intelligente per non capire che la sua vita correva rischi enormi.

“Mogadiscio, 20 marzo 1994. Somalia: uccisi due giornalisti italiani a Mogadiscio. La giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni”. È con questo testo, freddo e brutale, che l’agenzia ANSA detta la notizia nel pomeriggio del 20 marzo 1994.

Da quel momento, da quel giorno, comincia il gioco al massacro sulla pelle della famiglia Alpi. Depistaggi, menzogne, falsità e ipocrisie che il governo italiano e i Servizi Segreti vomiteranno sui genitori di Ilaria senza un attimo di sosta. Depistaggi e menzogne che cominciano già sull’aereo che riporta a casa il corpo di Ilaria. Durante quel viaggio furono trafugati documenti, taccuini, materiale fotografico. Ma da quel giorno comincerà anche l’impari lotta che i genitori di Ilaria, Luciana e Giorgio, porteranno avanti per anni, instancabili. Non saranno soli in quella battaglia, un uomo in particolare sarà al loro fianco: Maurizio Torrealta, giornalista del TG3 e coautore del libro “L’esecuzione. Inchiesta sull’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Kaos Edizioni)”.

Ma non basterà, perché in questo Paese gli armadi sono pieni di scheletri e ben protetti. I cani da guardia hanno le mani in pasta ovunque, tessono ragnatele impenetrabili. Offrono protezione e ricevono protezione, corrompono e si fanno corrompere. Comprano qualunque verità. La Procura di Roma apre l’inchiesta, arriva a delle conclusioni che non chiariscono nulla rispetto alla morte di Ilaria. Arriva anche a delle condanne, che vengono annullate dall’appello e si ricomincia tutto. Viene anche nominata una Commissione Parlamentare d’inchiesta la cui direzione sarà affidata all’avvocato Carlo Taormina. Quella Commissione d’inchiesta rappresenta una delle pagine più vergognose nella storia della Repubblica Italiana.

In quella commissione Ilaria Alpi sarà oggetto di attacchi personali violentissimi. Per l’avvocato Taormina “ … in Somalia, dove si recarono per seguire la partenza del contingente italiano, i due giornalisti passarono invece una settimana di vacanze conclusasi tragicamente senza ragioni che non fossero quelle di un atto delinquenziale comune”. (leggi qui

Ma c’è un’Italia migliore di quella rappresentata dall’avvocato Taormina e così, nel 1995, nasce il “Premio Ilaria Alpi “, dedicato al giornalismo televisivo. Il premio è organizzato dall’Associazione “Ilaria Alpi” ed è promosso dalla Regione Emilia-Romagna, dal Comune di Riccione e dalla Provincia di Rimini, con la collaborazione della RAI. Nasce per premiare chi, nel campo del reportage, dimostri impegno riguardo ai temi sociali. Alla fine del 2014, con una lettera inviata all’Associazione “Ilaria Alpi” e al “Premio Ilaria Alpi”, al sindaco di Riccione e all’assessore alla Cultura dell’Emilia-Romagna, Luciana afferma: “Vi prego di prendere atto delle mie dimissioni irrevocabili da socio dell’associazione e del mio desiderio che si ponga termine a iniziative quali il Premio Alpi, di cui non è più ravvisabile alcuna utilità… Le indagini non hanno portato ad alcun risultato, quindi il premio che ricorda Ilaria Alpi non è più utile”.

La battaglia della famiglia Alpi sta arrivando alla fine, un giorno alla volta. Nel luglio del 2010 Giorgio Alpi muore dopo una lunga malattia. Ha lottato invano sedici lunghi anni per sua figlia Ilaria, lottato e sperato, cercando verità sempre negate da uno Stato assente e complice. In questi giorni, con una lucidità e una dignità che questo Stato non conosce assolutamente, la mamma di Ilaria sceglie di non combattere più. E lo fa con un atto di accusa finale verso quelle Istituzioni e quello Stato che hanno prima lasciato morire sua figlia e poi l’hanno uccisa ancora con l’arma più ignobile: la menzogna.

“Ho deciso di astenermi d’ora in avanti – dichiara la mamma di Ilaria – dal frequentare uffici giudiziari e dal promuovere nuove iniziative. Non verrà però meno la mia vigilanza contro ogni altro tentativo di occultamento. Con il cuore pieno di amarezza, come cittadina e come madre ho dovuto assistere alla prova d’incapacità data, senza vergogna, per ben ventitré anni dalla Giustizia italiana e dai suoi responsabili, davanti alla spietata esecuzione di mia figlia Ilaria e del suo collega Miran Hrovatin. Al dolore si è aggiunta l’umiliazione di formali ossequi da parte di chi ha operato sistematicamente per occultare la verità e i proventi di traffici illeciti. Da ultimo, dopo la sentenza della Corte d’Appello di Perugia, mi ero illusa che i nuovi elementi di prova inducessero la Procura della Repubblica ad agire tempestivamente per evitare nuovi depistaggi e occultamenti”.

C’è un tempo per ogni cosa, anche per le parole di una donna che ha perso tutto tranne la propria dignità e la propria lucidità. Per Luciana questo tempo è arrivato e il suo atto d’accusa dobbiamo raccoglierlo tutti noi e farlo nostro. Tocca a noi. Anche per questo scrivo. Anche per questo un giornale deve andare avanti senza nessun timore e nessuna paura di alzare la voce.

Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org