Milano, 12 Dicembre 1969. Alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana, un fiume d’inchiostro nero scrive la prima pagina di un nuovo capitolo della storia d’Italia. È un inchiostro che non si cancellerà mai ed esce da un calamaio colmo e riempito con cura dalle anime nere che volteggiano da sempre su questo Paese, come avvoltoi in attesa. C’è un clima particolare in quell’anno, un’onda di protesta sociale e di lotte sindacali operaie che cresce. Il “Sessantotto” è lì, vivo e presente e appena dietro l’angolo. Per questo serve qualcosa che possa fermare quell’onda. Serve qualcosa che possa spaventare, destabilizzare, confondere le menti e le coscienze.

Serve qualcosa di forte, capace di fermare le lancette dell’orologio e serve qualcuno cui addossare le colpe. Serve una strage e serve un colpevole, anzi, meglio ancora: seve un intero gruppo di colpevoli. È tutto pronto, la tavola è apparecchiata. Sono in molti a preparare quella tavola e a servire il piatto: Servizi Segreti, pezzi dello Stato, funzionari di polizia, una buona parte degli organi d’informazione e uomini di azione legati agli ambienti fascisti. Una volta preparata la tavola si deve solo decidere dove indirizzare le indagini, scegliere il mostro da buttare in pasto agli italiani. La scelta è facile, quasi scontata: gli anarchici. Perché è facile prendersela con gli anarchici, la storia lo insegna. La tavola è pronta, comincia il ballo.

Quella bomba nella Banca è la prefazione del libro delle stragi in Italia, è l’inizio della strategia della tensione che farà un Giro d’Italia senza fine. Morirono in diciassette dentro quella Banca, diciassette vite che chiusero la loro storia. Ma a quelle vite e alle loro storie si devono aggiungere altre vite spezzate per sempre: quelle di un ferroviere e di un ballerino e scrittore, entrambi anarchici, per esempio. I loro nomi? Giuseppe “Pino” Pinelli, partigiano, ferroviere e anarchico, e Pietro Valpreda, ballerino, scrittore e anarchico. Sono loro i nomi che vengono gettati in pasto all’opinione pubblica, perché se serviva una strage per destabilizzare, a maggior ragione serve anche trovare subito i colpevoli per rassicurare. Lo Stato funziona, fa il suo dovere e i cittadini devono aver fiducia nelle Istituzioni che fanno il loro dovere.

Pino Pinelli pagherà il prezzo più alto, la sua vita strappata a lui e alla sua famiglia. Pietro Valpreda resterà in carcere 1101 giorni, prima che la sua innocenza sia ammessa. Morirà di cancro nel 2002. I quarantasette anni passati da quel Dicembre del 1969 non hanno cancellato nessuna delle emozioni e della violenza di quei giorni. La storia, anche quella processuale, ha dimostrato tutto quello che c’era da sapere sull’innocenza di Pinelli, di Valpreda e degli Anarchici e sulla matrice fascista e golpista di quella bomba, chiara ai più fin dal primo momento, ma ancora oggi nessuno ha pagato davvero per quella strage. Gli unici a pagare sono stati gli innocenti, Pino Pinelli e le vittime della Banca. Ma quello era ciò che si voleva perseguire allora: dare vita all’era della strategia della tensione, ingabbiare l’idea e il pensiero, diffamare un gruppo di uomini liberi chiamandoli “mostri”.

Come detto all’inizio, quella tavola fu apparecchiata da tante mani, i nomi li ha scritti la storia. Uno in particolare voglio ricordare: il questore di Milano, all’epoca dei fatti Marcello Guida, già direttore del carcere politico di Ventotene nell’Italia Fascista e, come tanti funzionari dell’era fascista, subito adottato dall’Italia del dopoguerra. Se ad apparecchiare la tavola furono le menti “nere” dell’Italia di allora a dar voce al linciaggio morale degli anarchici contribuì gran parte del mondo dell’informazione. Persino giornali storici della Sinistra Italiana puntarono il dito contro gli anarchici. Sulle colonne de L’Avanti e de L’Unità le accuse contro Valpreda furono pesantissime, mentre un giovane Bruno Vespa al Telegiornale RAI presentava Pietro Valpreda come il vero e sicuro colpevole.

Che cosa resta, dopo tanti anni, di quella pagina infamante della Storia Italiana e dopo che nessuna condanna è stata inflitta ai colpevoli nonostante le verità della storia? Restano l’amarezza, il dolore e il ricordo per tutte le vittime, resta quella lapide in Piazza Fontana a ricordo di Pinelli accanto ad un bellissima rotaia spezzata su cui poggia una rosa, resta l’opera di Enrico Baj dedicata ai funerali di Pinelli cui le Istituzioni di Milano non riescono mai a trovare una collocazione definitiva. E resta un bellissimo scritto di un grande intellettuale come Pier Paolo Pasolini, intellettuale cui non è mai mancato il coraggio di essere sempre e prima di tutto un uomo libero. Da tutto questo si può e si deve ripartire, liberi e consapevoli che l’idea e il pensiero non muoiono mai.

Questo un piccolo stralcio di quello scritto:

Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione. Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.

Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).

Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.

Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.  

Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.

Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere”. (“Io so” – Pier Paolo Pasolini, 1974)

Maurizio Anelli (Sonda.Life) – ilmegafono.org