La chiusura di tre reattori nucleari presenti nel Paese entro il prossimo anno: questa l’iniziativa proposta in Svizzera dai Verdi, ma che è stata bocciata tramite un referendum popolare. I no alla proposta sono stati pari al 54,23 per cento contro il 44,77 per cento dei sì.

A livello di cantoni il risultato è stato di 20 su 26 e la percentuale dei cittadini che si sono presentati alle urne è stata del 44,8 per cento. Il Ticino ha bocciato il testo con il 53,74 per cento di no e i Grigioni con il 55,9 per cento. Gli unici cantoni a favore del testo sono stati: Basilea Città, con il 60,48 per cento di no; Basilea Campagna, con il 50,44 per cento; Neuchâtel, con il 56,78 per cento; Vaud, con il 54,57 per cento; Ginevra, con il 58,96 per cento; Giura, con il 57,47 per cento.

Nello specifico, non si tratta dell’intero futuro del nucleare in Svizzera, ma solo della chiusura di alcuni reattori che producono circa un terzo dell’elettricità del Paese. In sostanza, si poteva accelerare l’uscita della Svizzera dal nucleare, ponendo il divieto di costruire nuove centrali e limitando a 45 anni la durata d’esercizio degli impianti esistenti. Se avesse vinto il sì, la centrale più antica funzionante al mondo, quella di Beznau nel cantone di Aargau, che vanta 47 anni di produzione, avrebbe dovuto chiudere i battenti nel 2017. Stessa cosa per il reattore di Muhlberg, entrato in attività nel 1972, nel cantone di Berna. Le ultime due, invece, sono più recenti: quella di Gosgen, a Soleure, è in servizio dal 1979, e quello di Leibstadt, che funziona dal 1984.

Già dopo la catastrofe di Fukushima, in Giappone, le autorità elvetiche hanno deciso una graduale chiusura delle centrali nucleari, senza però un calendario ben preciso. L’idea del governo è di decommissionare le sue centrali man mano che queste raggiungono la fine della loro vita. Tuttavia, le centrali elvetiche operano su licenze che permettono loro di continuare a produrre finché soddisfino i criteri di sicurezza. Durante la campagna elettorale, infatti, il governo ha insistito sulla sicurezza dell’approvvigionamento del paese, che rischierebbe di essere minacciato da una chiusura accelerata delle centrali.

Il tema nucleare, inoltre, in questi ultimi giorni, non ha riguardato solo la Svizzera, ma anche la Francia. L’allarme questa volta non viene da una delle tante associazioni ambientaliste che si battono contro l’energia nucleare, ma dal presidente dell’Authority francese sulla sicurezza nucleare (Asn), Pierre-Franck Chevet. In seguito a un controllo a tappeto, avvenuto nell’aprile dello scorso anno, è stato scoperto un eccesso di carbonio nell’acciaio della vasca del reattore di nuova generazione Epr (reattore pressurizzato europeo). Da quel momento sono stati fermati altri dodici reattori per verificare che l’eccesso di carbonio scoperto nell’acciaio non alteri la capacità di resistenza meccanica dei generatori di vapore.

Infine, è importante sottolineare gli strumenti che i due Paesi utilizzano per produrre energia: la Svizzera produce circa il 33 per cento dell’elettricità con il nucleare, quasi il 60 per cento con le centrali idrauliche e un po’ più del 4 per cento tramite fonti rinnovabili come l’energia solare ed eolica; in Francia, invece, l’elettricità è garantita quasi al 78 per cento dalle centrali nucleari, anche se la legge sulla transizione energetica varata dal governo socialista lo scorso anno fissa come obiettivo di sviluppare le energie alternative.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org