Donald Trump è il nuovo Presidente eletto degli Stati Uniti d’America, una vittoria ottenuta dopo una campagna elettorale sui generis e senza precedenti che lascia ampio spazio a numerose domande aperte. Tra queste vi è sicuramente la questione ambientale, diventata argomento scottante dopo le dichiarazioni del magnate americano, convinto detrattore dell’esistenza del global warming e delle responsabilità dell’uomo in merito ai cambiamenti climatici. I dubbi sulle politiche che la nuova presidenza USA adotterà sono molto forti, si temono incidenti diplomatici e ricondizionamenti delle leggi sulla protezione ambientale, ma le risposte arriveranno soltanto a partire da gennaio in poi, quando è previsto l’insediamento di Trump alla Casa Bianca.

Nel corso della ventiduesima conferenza Onu sul clima a Marrakech, tuttavia, è intervenuto il Segretario di Stato John Kerry, che sottolinea l’intenzione di continuità con gli accordi presi nel 2015 a Parigi. Kerry si è mostrato molto più ottimista del previsto rispetto alle dichiarazioni rilasciate da Trump in campagna elettorale, lasciando intendere che la maggior parte degli americani sia consapevole dei cambiamenti climatici in atto. Ma c’è dell’altro: “Nel periodo che ho trascorso nella vita pubblica, una delle cose che ho imparato è che alcune questioni sembrano un po’ diverse quando sei in carica rispetto a quando sei in campagna elettorale”, ha dichiarato, sottolineando che fare congetture sulle reali intenzioni di Trump prima del suo insediamento non porta a risultati concreti.

Secondo Kerry il mondo sarebbe pronto a mantenere la parola presa a Parigi e, qualora Trump dovesse perseguire la strada del “negazionismo climatico”, se così possiamo definirlo, è convinto che i mercati e la politica estera saranno pronti a fermarlo per il bene del pianeta. Tutte le nazioni coinvolte hanno l’obbligo di investire denaro ed energie politiche sulle fonti rinnovabili, e di certo gli Stati Uniti non possono restarne fuori, rischiando l’isolamento.

Fa sentire la sua voce anche la Cina, da tempo accusata di scarsa attenzione nei confronti dell’ambiente e dei protocolli adottati in fatto di clima. Il gigante d’Oriente ha infatti dichiarato, attraverso le parole del rappresentante speciale per il Cambiamento Climatico, Xie Zhenhua, che “tutte le parti in gioco devono mantenere i loro impegni per il periodo pre-2020, in funzione di una reciproca fiducia”, invitando i paesi più ricchi ad intervenire in aiuto dei paesi in via di sviluppo per favorirne anche la ricchezza.

Sul versante europeo, nel frattempo, Nicolas Sarkozy, candidato conservatore alle presidenziali francesi, propone all’Europa una “carbon tax“ alle sue frontiere in caso di dietrofront di Trump. Molte multinazionali statunitensi, del resto, hanno chiesto esplicitamente a Trump di non voltare la faccia alle politiche ambientali, chiedendo di favorire un’economia a basse emissioni di carbonio.

Un eventuale ritiro di Trump dagli accordi internazionali, dunque, nonostante l’ottimismo di Kerry, potrebbe lanciare definitivamente la Cina alla conquista dei territori in via di sviluppo, vista anche l’abile mossa diplomatica messa in atto a Marrakech. L’Europa, da leader nella lotta al global warming, si muove timidamente nello scenario che va disegnandosi in questi mesi. Del resto, le elezioni americane insegnano che non tutto ciò che riportano i grandi media è destinato a compiersi e che le carte in tavola possono cambiare, sorprendere e aprire nuovi interrogativi.

Laura Olivazzi -ilmegafono.org