Calogero Mannino è un politico italiano della vecchia scuola, presente nello scenario politico, dapprima siciliano e poi nazionale, già dal lontano 1961 e più volte nominato ministro della Repubblica. Il suo lunghissimo percorso politico-istituzionale è stato però un po’ adombrato da un non breve “curriculum” giudiziario. A suo carico, infatti, dal 1991 in poi, inchieste e conseguenti procedimenti per aver intrattenuto rapporti con la mafia (procedimento poi archiviato dalla procura di Sciacca) e per concorso esterno in associazione mafiosa (accuse per le quali, in sede processuale, l’ex dc fu riconosciuto innocente ma non ricevette il richiesto risarcimento per ingiusta detenzione perché ritenuto “consapevole di ricevere appoggio elettorale da un boss mafioso”); da ultimo, nel luglio 2012, è stato indagato e processato per aver avviato la trattativa Stato-mafia.

Secondo la ricostruzione della Procura, Calogero Mannino, nel sanguinoso 1992, sentendosi in pericolo, avrebbe fatto pressioni sui carabinieri dei Ros perchè avviassero l’ormai famosa trattativa, impegnandosi a rivedere le condizioni del carcere duro. In merito a quest’ultimo procedimento, durato 23 mesi, Mannino ha ottenuto di avvalersi del rito abbreviato e, il 4 novembre 2015, è stato giudicato innocente “per non aver commesso il fatto” dal gup Marina Petruzzella. A distanza di quasi un anno dalla sentenza, lo scorso 31 ottobre, sono state depositate le motivazioni.

526 pagine che, nello scagionare l’imputato, condannano, seppure virtualmente ed implicitamente, il testimone principale dell’intero filone di indagini, Massimiliano Ciancimino, insieme ai pubblici ministeri del processo. Questi ultimi avrebbero, secondo il giudice Petruzzella, dato valore probatorio ad una serie di indizi. In particolar modo, la Petruzzella afferma, nelle proprie motivazioni, che “non c’è qualcosa, come delle fonti orali o documentali che dimostrino il collegamento tra l’iniziativa dei Ros di interloquire con Vito Ciancimino e l’evento ipotizzato dall’accusa di un accordo tra Mannino e cosa nostra, per salvarsi e attuare un programma politico favorevole a una trattativa, volta a condizionare, partecipando alla volontà ricattatoria stragista della mafia, le scelte del governo”.

“Allo stato degli atti – si può leggere nella relazione del gup – appare improvabile, da un punto di vista processuale, collegare il fatto che Mannino si raccomandasse con i Ros alla interlocuzione tra i Ros e Vito Ciancimino”. Ancora più dure le riflessioni del giudice su Massimiliano Ciancimino e sulle prove documentali da lui presentate. La Petruzzella infatti scrive che il figlio dell’ex sindaco ha più volte mostrato incoerenza nelle dichiarazioni rese agli inquirenti ed una palese strumentalità nel proprio atteggiamento processuale, quasi un voler compiacere la procura.

Secondo il giudice sarebbe evidente, negli atteggiamenti del super teste, la “propensione a sfruttare a beneficio della propria immagine e notorietà mediatica la situazione processuale, attraverso un crescendo di rivelazioni sensazionali”. Inoltre, nelle motivazioni, il famoso “papello” (da lui consegnato) viene descritto come frutto di una grossolana “manipolazione”. “Lo ha fornito – sostiene il gup – solo in fotocopia, senza dare di ciò alcuna motivazione plausibile, posto che la circostanza che si trovasse in cassaforte all’estero non avrebbe impedito la consegna dell’originale, ed è evidente che le fotocopie, con l’uso di carte e inchiostri datati, impediscano l’accertamento delle epoche degli originali, oggetto della copiatura”.

“Non ha voluto rivelare – aggiunge poi la Petruzzella – chi gli avesse spedito il papello dall’estero, come da lui sostenuto, né perché non potesse dirlo ai pm e ha detto di non conoscerne l’autore”. Mentre si attende ancora di conoscere le reazioni della Procura che, lo scorso anno, aveva dichiarato che avrebbe valutato il ricorso in appello solo dopo aver letto le motivazioni della sentenza, non sono mancate le dichiarazioni di Calogero Mannino. “Che il papello fosse un imbroglio – ha dichiarato soddisfatto l’ex ministro – lo si vedeva già dalle carte, e ora la gup nelle motivazioni della sentenza d’assoluzione non fa che confermarlo”.

Nelle proprie dichiarazioni il politico non ha fatto sconti a nessuno: ha accusato, parlando di processo mediatico, i media di aver influenzato l’opinione pubblica e ha insinuato, partendo dalle motivazioni depositate, il dubbio che il testimone Ciancimino lo abbia accusato per un tornaconto personale. In attesa di conoscere gli sviluppi processuali, il timore è che queste motivazioni, con il loro pesantissimo giudizio su testimoni e documenti, compromettano i procedimenti sulla trattativa ancora in corso e che gli ignoti “burattinai”, i reali colpevoli del bagno di sangue del 1992, restino impuniti e liberi di tirare ancora i fili di un pupazzo sempre più logoro e privo di verità: l’Italia.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org