Secondo l’ultimo rapporto di Legambiente, “Ambiente Italia 2016”, il 51 per cento dei litorali italiani è stato trasformato dal cemento. Nel nostro Paese sono oltre 7mila i chilometri di coste con bellezze storiche, ambientali e geomorfologiche che, senza un cambio di rotta, oggi rischiano pian piano di scomparire. Negli ultimi dieci anni, infatti, più della metà dei paesaggi costieri sono stati letteralmente “mangiati” da palazzi, alberghi e ville con una media di otto chilometri all’anno. Ma il cemento non è l’unico protagonista di questa trasformazione, poiché un terzo delle spiagge è interessato da fenomeni erosivi in espansione. Praticamente, si parla di 14.542 infrazioni accertate durante il 2014, tra reati inerenti al mare e alla costa, cioè circa 40 al giorno, due ogni chilometro.

“Le coste sono uno straordinario patrimonio del nostro Paese – ha dichiarato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente e curatore insieme a Sebastiano Venneri e Giorgio Zampetti del volume – che dobbiamo liberare dalla pressione di cemento e inquinamento. Il Rapporto Ambiente Italia presenta una fotografia di questi impatti con dati davvero inquietanti e studi che dimostrano come sia possibile invertire questa situazione attraverso un cambio delle politiche. Proprio la sfida che i cambiamenti climatici pongono alle aree costiere del Mediterraneo deve portare a una nuova e più incisiva visione degli interventi. Occorre rafforzare la resilienza dei territori ai cambiamenti climatici e spingere verso la riqualificazione e valorizzazione diffusa del patrimonio costiero”.

Le ragioni della fragilità delle aree costiere italiane risiedono in problemi idrogeologici e nelle conseguenze che l’urbanizzazione, sia legale che abusiva, comporta; per non parlare poi dei fenomeni meteorologici, come temporali, alluvioni ed esondazioni che ormai si ripetono con un’intensa frequenza. I cambiamenti climatici sono infatti un fenomeno che bisognerebbe mitigare poiché rendono i nostri territori costieri più fragili, mettendo in pericolo anche le persone.

Tra le minacce incombenti vi è sicuramente l’erosione: oggi più di un terzo delle nostre spiagge è erosa e il futuro di certo non si prospetta migliore a causa dell’incessante innalzamento del livello del mare e dell’intensificarsi dei fenomeni climatici estremi. Una delle soluzioni adottate è stata la costruzione di scogliere aderenti alla costa che nella pratica non hanno risolto il problema, visto che oggi si possono vedere interi tratti di costa coperti da scogliere artificiali che, non concedendo il ricambio idrico e la sedimentazione delle sabbie, contribuiscono al progressivo abbassamento dei fondali e ai potenziali crolli, che si tentano di contrastare con strutture sempre più massicce e impattanti.

Recentemente è stata utilizzata la tecnica del ripascimento dei litorali, ossia l’immissione sulla spiaggia di ingenti quantitativi di sedimenti, allo scopo di ricostruirne la parte erosa): nonostante abbia avuto maggiore efficacia, presenta costi economici più elevati.

A peggiorare questa situazione, già alquanto critica, è il consumo di suolo: dei 6.477 chilometri di costa da Ventimiglia a Trieste e delle due isole maggiori, 3.291 chilometri hanno subito un cambiamento irreversibile. In particolare, si tratta di 719,4 chilometri occupati da industrie, porti e infrastrutture e 919,3 colonizzati dai centri urbani. Per quanto riguarda, invece, la diffusione di insediamenti a bassa densità, con ville e villette, si parla di 1.653,3 chilometri, pari al 25 per cento dell’intera linea di costa. La Sicilia spicca tra le regioni con il primato assoluto di chilometri di costa caratterizzati da urbanizzazione meno densa ma diffusa (350 chilometri), seguita da Calabria e Puglia. La Sardegna, al contrario, si dimostra la regione più virtuosa per quantità di paesaggi naturali e agricoli ancora intatti.

Si stima che dal 1988 a oggi, a causa di nuove costruzioni, sono stati trasformati ulteriori 220 chilometri di coste con una media di 8 chilometri all’anno, equivalenti a 25 metri al giorno. Le regioni più devastate sono la Sicilia con 65 chilometri, il Lazio con 41 e la Campania con 29. Secondo i dati Istat, nel decennio 2001-2011 sono sorti nelle zone costiere ben 18mila nuovi edifici, di cui 700 per chilometro quadrato sia in Sicilia che in Puglia, 600 in Calabria ma anche 232 per chilometro quadrato in Veneto, 308 in Friuli Venezia Giulia e 300 in Toscana, Basilicata e Sardegna.

La costa non è la sola a soffrire la mancanza di politiche adeguate e innovative: anche i nostri mari continuano ad essere a minacciati dall’inquinamento. Il ritardo nella depurazione riguarda ancora troppe città e circa il 25 per cento dei cittadini italiani. Anche le acque analizzate da Goletta Verde nel 2015 sono risultate inquinate nel 45 per cento dei casi. Uno dei fenomeni più preoccupanti è la quantità di rifiuti presenti in acqua, in particolare di plastica galleggiante. Legambiente ha realizzato un’attività di monitoraggio della beach litter, dimostrando come sia importante trovare una strategia per ridurre i rifiuti portati dai fiumi e quelli prodotti dalle attività presenti nel Mediterraneo.

“Per il futuro delle aree costiere – ha dichiarato Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente – abbiamo la possibilità di ispirarci e scegliere un modello che si è già rivelato di successo. Quello delle aree protette e dei territori che hanno scelto di puntare su uno sviluppo qualitativo e che stanno vedendo i frutti positivi anche in termini di crescita del turismo”.

In Italia vi sono aree protette nazionali con misure di tutela a mare, 27 aree marine protette, 2 parchi marini sommersi, 2 perimetrazioni a mare nei parchi nazionali e un santuario internazionale per la tutela dei mammiferi marini. Infine, sono state individuate ben 54 aree marine di reperimento dove istituire riserve marine. Praticamente dei luoghi in cui prendono vita buone pratiche di gestione sostenibile e dove confluiscono tutela e valorizzazione della natura e della biodiversità con una gestione innovativa del turismo.

Veronica Nicotra –ilmegafono.org