Mario Draghi, a inizio aprile di questo anno, sulle colonne del Corriere (leggi qui), ha detto che “nonostante sia la generazione meglio istruita di sempre, i giovani di oggi stanno pagando un prezzo troppo alto per la crisi. Per evitare di creare una ‘generazione perduta’ dobbiamo agire in fretta”. 

Il perché la generazione sia perduta è sotto gli occhi di tutti. Basta citare un dato, quello del tasso di inattività che, nella fascia tra i 25 e i 34 anni, nel 2015, è stato il 27,4% (i dati li trovate qui). Una percentuale impressionante nel periodo in cui il mondo ti vorrebbe più attivo e pronto a spaccarlo. O basta pensare al tasso di disoccupazione giovanile. Una generazione ombra già prima di arrivare nelle classifiche e che ha vissuto la crisi dall’inizio alla fine. Non ci stupiamo ormai se si parla più di pensioni che di occupazione giovanile, imprenditorialità giovanile, incentivi alla formazione di nuove famiglie.

Quando si parla di defiscalizzazione si fa bene a dare incentivi alle imprese, ma forse sarebbe bene dare incentivi ai lavoratori. Scriveva Stiglitz, premio Nobel per l’Economia, su “Internazionale” del 29 aprile 2016, che i tassi di interesse bassi non sono la panacea se poi non ripartono i consumi. E i consumi non ripartono senza una politica fiscale espansiva. Ma la situazione pare complicata anche per chi lavora. Ho sotto gli occhi una busta paga media qualsiasi di una 26enne che lavora e vive in una grande città. Grazie a un bonus aziendale porta a casa 1.700 euro netti. Senza il bonus, normalmente sono 1.400. Di affitto ne spende 600, più 50 di spese. Ne rimangono 750, la mattina quando si sveglia. Se fa colazione ci mettiamo anche i 200 euro mensili di spesa, semplicemente per mangiare.

A questo punto è pronta per andare a lavoro con in tasca 450 euro. Ora la scelta è tra risparmiare per il futuro o spendere in cene, vestiti, etc. Forse è sempre stato così, ma se lo è stato lo era per tutti. Chi aveva studiato di più guadagnava in prospettiva di più, lavorare di più faceva far figli più tardi. Oggi chi ha un lavoro, soprattutto se donna, lo manterrà con la gravidanza? Avrà la stessa prospettiva di introiti nel futuro? Quando farà il primo figlio? Quanti ne farà, se ne farà? Quanti contributi la sua generazione dovrà versare per sostenere una classe di pensionati in espansione?

In qualsiasi evento in università/scuola secondaria il discorso è sempre il solito: i giovani sono il futuro. Ma a queste domande non risponde più nessuno. La pletora di elettori interessati è sempre più ristretta per l’invecchiamento della popolazione e il disinteresse politico è conseguente. Ma la vera crisi, sociale e umana, forse deve ancora arrivare. Anche perché l’esempio non è certo rappresentativo e vede protagonista una percentuale ridotta di 25enni. Gli altri? Chi non lavora, chi ha contratti mensili? Quando avrà la capacità di spendere e quindi di sostenere domanda e produzione? Finché non si risponde a questa domanda ogni altro discorso di politica economica è, al più, una triste barzelletta.

Penna Bianca -ilmegafono.org