Il Wwf non ci sta. Nonostante il referendum per fermare le piattaforme in mare non abbia raggiunto il quorum, l’associazione ambientalista ha deciso di inviare alla Commissione europea una lettera in cui chiede di aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. Nella lettera, lunga circa sette pagine e firmata dal presidente del Wwf, Donatella Bianchi, il perno della contestazione è proprio la frase su cui si è basata la questione referendaria: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”.

Scopo del reclamo, inviato al commissionario per il Clima e l’Energia, Miguel Arias Camete, e al commissario per l’Ambiente e la Pesca, Karmenu Vella, è appunto quello di ritornare alla vecchia formulazione: far sì che le trivelle siano smantellate quando la concessione europea terminerà, ovvero dopo trent’anni. Il reclamo, inoltre, vuole mettere in evidenza come già oggi, delle ottantotto trivelle nei mari italiani oltre le dodici miglia, trentanove siano ferme: praticamente si parla di otto impianti non operativi e trentuno non eroganti, fermi formalmente per manutenzione.

I primi otto sono dell’Eni: sette di loro estraggono gas, mentre uno, Ombrina Mare 2, estrae petrolio. E ancora: ci sono trivelle dismesse che hanno solo dieci anni di vita e che l’ente nazionale di idrocarburi ha deciso per motivi economici di non utilizzare più. Il Wwf, infatti, vuole sottolineare come queste piattaforme rappresentino solo un rischio per la navigazione e siano deleterie per il passaggio; per questo è necessario fare qualcosa affinché vengano smantellate il prima possibile.

L’ipotesi del Wwf è questa: “Diverse piattaforme etichettate come non eroganti in realtà hanno cessato la produzione, ma le aziende estrattive non lo dichiarano per evitare i costi per la loro demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi”.

L’associazione ritiene sia fondamentale l’intervento di Bruxelles, poiché reputa che la variazione di legge fatta nel dicembre 2015, con il decreto “Sblocca Italia” (ovvero il prolungamento delle trivelle oltre la naturale concessione), cozzi con la direttiva europea 94/22. Inoltre, ricorda all’Unione europea che ventisei concessioni hanno oltre trent’anni di vita e sedici oltre quarant’anni; e, infine, quarantadue delle ottantotto piattaforme non sono mai state sottoposte a valutazione di impatto ambientale (istituto entrato in vigore con legge del 1986), violando così il diritto comunitario. Nel reclamo si ricorda anche che tra i votanti del referendum del 17 aprile è prevalso ampiamente il Sì, dato sicuramente rilevante.

“La norma introdotta dal governo e che si è cercato di superare attraverso il referendum del 17 aprile – commenta il vicepresidente Wwf, Dante Casserta – è figlia della confusione normativa che regna nel settore della ricerca ed estrazione degli idrocarburi a causa dei continui e parziali interventi normativi. È evidente che questa norma, così come è strutturata, contrasta con la disciplina europea. E regala una situazione di monopolio alle società petrolifere, violando il principio della libera concorrenza”.

In conclusione, scrivono i legali del Wwf, “il diritto esclusivo, senza termini di tempo, per le concessioni di piattaforme localizzate nei mari italiani entro la fascia delle 12 miglia, si configura come una violazione non solo della normativa europea di settore, ma dello stesso trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Questi principi comunitari non possono essere elusi con l’effetto di conservare ad libitum in capo al concessionario il diritto ad utilizzare per finalità economiche il bene”.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org