Ammiro la famiglia Regeni, non solo per la forza con cui ha lanciato il suo grido di giustizia, annunciando di essere pronta, se non smetteranno reticenze e depistaggi, a rendere pubblico lo scempio che le torture e l’assassinio hanno fatto del viso e del corpo di Giulio, ma anche per l’aver cresciuto un ragazzo così. Un ragazzo che aveva scelto di non starsene chiuso nel suo mondo, di non voltare le spalle, di superare i confini geografici e culturali e studiare, indagare, denunciare le ingiustizie. La famiglia Regeni va ringraziata per l’educazione all’umanità, alla pace, al senso di giustizia che ha dato a Giulio. L’esempio di un’Italia che esiste, di un modello di gioventù che è molto lontano da quelle masse di indifferenti che si accapigliano per un reality o si appassionano esclusivamente per cose futili. Giulio Regeni aveva scelto di impegnarsi e di farlo da vicino.

Aveva prestato il suo intelletto e la sua preparazione allo studio di fenomeni che ci riguardano e richiamano principi di libertà, democrazia, diritti; parole e concetti che molti suoi coetanei (e non solo) snobbano o al massimo guardano sbadigliando. Non è mia intenzione fare la morale o generalizzare, perché resto convinto che di ragazze e ragazzi così, preparati, informati, attenti, attivi ce ne siano molti di più di quello che si crede. E non sono tutti all’estero, ma sono anche qui, nelle periferie del Paese, nei gruppi di ricerca, nelle associazioni, nei comitati, dentro a ogni presidio che porti in piazza un’azione o l’informazione contro ingiustizie, malaffare, discriminazioni, mafie, assalti ambientali. Solo che di solito questi giovani, affiancati da molti adulti che lottano ancora e non si rassegnano, vengono maltrattati, derisi, ignorati, salutati da un sorriso di arrogante compassione. Perché in questo Paese, chiunque ponga questioni di sensibilizzazione, chiunque chieda verità o difenda il proprio territorio, la salute dei cittadini, un diritto sacrosanto, si trova isolato o vilipeso.

Una delle cose che mi ha colpito, sul caso Regeni, è che la gran parte dell’opinione pubblica italiana, per molti giorni, si è mostrata piuttosto timida. Voglio dire che, mentre c’era una parte, quella solitamente più attenta e sensibile, che chiedeva giustizia e invitava il governo a non tergiversare, a non fidarsi delle versioni allucinanti, delle false promesse e delle scontate valutazioni delle autorità egiziane, ce n’era un’altra, più cospicua, che rimaneva più fredda, più distante. Forse perché Giulio era l’emblema di quel tipo di giovane che una fetta di questo Paese spesso non digerisce, non sostiene, anzi guarda quasi con fastidio. Un ragazzo che aveva le sue idee e che era lontanissimo da quelle logiche reazionarie e populiste che oggi tanto vanno di moda in Italia. Soprattutto, Giulio Regeni credeva nella verità, la cercava, la studiava. Per tale motivo è stato preso, torturato, ucciso in maniera crudele, tra mille sofferenze.

Le bugie del governo egiziano sono il tentativo di ucciderlo una seconda volta e vanno fermate con forza. Non sono ammessi tentennamenti dovuti a rapporti diplomatici e interessi economici. La verità su Giulio deve essere una priorità. Ecco perché la famiglia ha preso posizione, ha parlato di quella foto, di quel volto sfigurato. Perché sa che l’Italia è il luogo delle verità negate e che spesso, davanti all’orrore di quelle verità, chiude gli occhi e continua ad andare avanti come se niente fosse. Nel nostro paese, se sei un attivista o uno che squarcia il velo di un’ingiustizia, se sei uno che crede nella tutela dei diritti umani, se sei uno che sputtana la mafia o denuncia il rapporto tra politica, impresa e criminalità, se sei un’ambientalista, se sei una persona che ha la giusta sensibilità per guardare il mondo e combatterne i vizi peggiori, allora vieni guardato male, con sospetto, come se avessi qualche recondito interesse personale, oppure ti dicono che certe cose te le vai proprio a cercare, che faresti meglio a condurre una vita tranquilla e soprattutto a non rompere le scatole.

Lo hanno detto di Enzo Baldoni, di Antonio Russo, di Vittorio Arrigoni e di tanti altri. Lo avranno detto sicuramente, a voce un po’ più bassa, anche di Giulio. Il governo italiano, invece, si è mosso, ma forse ci voleva più convinzione, bisognava anticipare certi atteggiamenti ed essere da subito molto duri con le autorità egiziane. La politica nel suo insieme si è mostrata inizialmente troppo timida. Non ho notato, ma magari è stata solo una mia impressione, la stessa passione patriottica vista da subito nella vicenda dei due marò in India. Vicenda che, peraltro, fu condotta malissimo e che andrebbe adesso risolta nel rispetto delle norme internazionali, del diritto sacrosanto alla difesa, ma anche nel rispetto della volontà di giustizia dei familiari di quei due pescatori che, per una negligenza tragica, hanno perso la vita.

Giulio, invece, non era un militare, non imbracciava fucili, non suscitava passioni patriottiche, era solo un ragazzo che amava il mondo e la vita, che non voltava lo sguardo, che voleva accendere una luce su una realtà complessa e ingiusta, come testimoniano i ricordi di familiari e amici. Giulio, suo malgrado, pagando con la vita, quella luce l’ha accesa e l’ha puntata sugli occhi di chi non voleva vedere e sapere quello che accade in Egitto, le violenze di  regime, le torture, la repressione, gli arresti ingiusti, gli omicidi politici spacciati per normali casi di cronaca legati a episodi di criminalità spicciola. Il mondo adesso non può più far finta di nulla. Di sicuro l’Italia non può più aspettare né lasciare che il governo egiziano continui con ricostruzioni false e offensive.

Non ci interessa che vengano presi “dei” colpevoli, ancor meno se morti e muti, quello che deve interessarci è che vengano consegnati “i” colpevoli. L’Egitto sa benissimo chi sono e dove si trovano. E cosa hanno fatto e perché. Adesso si parla di sanzioni, di rapporti commerciali da interrompere. Qualsiasi cosa va bene purché si arrivi alla verità su Giulio Regeni, che poi è la verità sui tanti Giulio egiziani finiti alla stessa maniera e sepolti negli armadi di regime. Ci si augura davvero che non si debba attendere che la famiglia Regeni pubblichi la foto del volto massacrato di Giulio. Un Paese serio, civile e con un minimo di dignità non dovrebbe avere bisogno di questo shock visivo per sapere cosa bisogna fare e per essere certo che un suo giovane e bravo figlio sia stato barbaramente assassinato per ragioni politiche per mano di una nazione illiberale e dei suoi apparati riempiti di vigliacchi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org