Negli anni ’80 accadde, in un paesino del siracusano, un fenomeno piccolo ma significativo che durò all’incirca sette anni, fin quando cioè padre Carlo non fu…buttato a mare e, infatti, divenne parroco della parrocchia estiva della zona balneare di Fontane Bianche. Erano tempi di passione politica, voglia di dire la propria, di esistere a modo proprio: con alcuni giovani facemmo uscire dei fogli ciclostilati che ci sembravano addirittura un giornale. Dei fogli per dire che cosa? E a chi? Eravamo quattro giovani e tra questi un pretino fresco fresco che, se non era per la messa che effettivamente celebrava la domenica alle 18, nessuno mai ci avrebbe creduto: scanzonato, scarpe di ginnastica, dissacratore quanto basta (cioè assai). C’erano Santo Burgio, amante della filosofia, e Seby Germano con la penna davvero biforcuta. Eravamo come il nucleo di quella avventura.

A chi volevamo parlare lo capimmo subito, quando lanciammo la…campagna pubblicitaria per creare un clima di attesa per l’uscita del nostro primo numero. E allora, di notte, uscivamo e nelle mura dei sacri palazzi (municipio, caserma dei carabinieri, chiesa, scuola) e in piazza appiccicavamo degli artigianali manifesti fatti a mano con parole allusive ma senza un senso preciso: “Esce esce”, “Sta uscendo”, “Ci siamo quasi”. Ogni mattina che seguiva l’impresa notturna ci godevamo le reazioni della gente. Decine e poi un centinaio di persone davanti al palazzo del Comune a chiedersi: “ma chi è che esce ? Ma è già uscito? Chi ?”. “Questa è una manovra delle destre che non vogliono questo sindaco”. “No, è la sinistra con i suoi metodi torbidi che vuole prendere il potere!” . “Ma la chiesa che ne pensa? Perché non parla? Infatti anche là ci hanno messo ‘esce esce’”.

Il comandante dei carabinieri, immancabilmente, arrivava poi con un paio dei suoi e dopo aver fatto il sopralluogo staccava dai muri i corpi del reato e tranquillizzava tutti dicendo: “Ma che siamo nessuno noi? Li prenderemo !”. E si portavano in caserma quei fogli inquietanti. Qualche notte ce la vedemmo brutta, perché davanti al “dileggio delle istituzioni” (?) fu decisa la ronda notturna dei carabinieri e così capitò un paio di volte che per un pelo ci salvammo o nascondendoci sotto una macchina parcheggiata o acquattati sotto il monumento che c’è in piazza.

Ecco i nostri interlocutori, ci dicemmo: quelli che si sentono domineddio ma hanno tali scheletri negli armadi da entrare in agitazione davanti a dei fogli scarabocchiati con i pennarelli. Una gran pernacchia alle istituzioni che vivono di gloria auto-riflessa e all’incapacità dei cittadini di pensare con la loro testa. Era una goduria per tutti i giovani che la mattina aspettavano gli autobus per scendere a Siracusa per la scuola. E mai nessuno ci tradì, anche se si sussurrava che dietro tutto c’era probabilmente quel prete che tutto sembrava tranne che un prete.  Volevamo dialogare con i ragazzi e volevamo risposte precise e senza politichese o ecclesiastichese dagli abitatori del palazzo comunale, dall’autorità religiosa e da quella militare.

Decidemmo di accelerare l’uscita del primo numero del ciclostilato perché nel paese l’aria ormai si era fatta pesante. Tutti sospettavano di tutti. I ragazzi del paese la vivevano come la vigilia di un evento clamoroso. Quando finalmente uscì, “L’Ilota” sferrò un attacco spiegando scientificamente come IL RE È NUDO. E allora la potenza di quanti sulle istituzioni ci si siedono (magari scorreggiando), è un abbaglio provocato dal mettersi da parte come cittadini e dalla voglia di avere un guinzaglio al collo e un padrone che ti garantisce di riempirti la ciotola con i resti del suo pranzo.

Mi ricordo che quando l’arciprete della chiesa madre volò negli Stati Uniti “a visitare le famiglie dei solarinesi emigrati”, un rappresentante de L’Ilota gli consegnò una cesta augurandogli di raggiungere lo scopo di accalappiare tanti ma tanti dollaroni.  Con lui partì anche il sindaco ma con la raccomandazione che al suo ritorno doveva trovare la sua poltrona libera e senza il timore di essere raggiunto da qualche telegramma che gli dicesse “esci esci e stattene in America”.

Nessuno mai si è permesso di tentare di strumentalizzarci. Il nostro giornale era letto e commentato proprio da tutti e tutti, in consiglio comunale si professavano lettori devoti de L’Ilota (forse perché sconoscevano l’origine spartana della parola). Noi ci sentivamo gli iloti che si riprendevano la città e ne parlavano come un luogo di democrazia. E prendevamo anche iniziative che coinvolgevano tutto il paese in una sorridente e ritrovata voglia di dire le cose senza sentirsi moscerini che svolazzano beati tra il fetore delle vacche sacre.

Credo che, quando si incontrano la passione genuinamente politica e la forza di metterci la faccia e la penna, nascono cose che meritano rispetto ed hanno i crismi della serietà. E sapete una cosa? Quel borghese, sornione, clientelare e molto ricco paesino imparò a rispettarci e a tutt’oggi c’è chi si ricorda di noi. Questi ricordi me li ha suscitati il bellissimo decennale de Il Megafono.org che, però, vivendo oggi, deve nuotare in problematiche e culture parecchio diverse. È chiaro, è tanto ma tanto cambiata la società. La temperie culturale e il sentire della gente sono radicalmente un’altra cosa. La sfida credo che sia molto più alta, difficile, quasi invincibile.

Però, Il Megafono non è un giochetto. Nasce da esigenze che conosco. Le sue sorgenti attraggono per la loro limpidezza, il suo percorso nella valle degli avvenimenti è ben leggibile. A parte la passione di cui trasuda e l’onestà intellettuale che lo porta a scavare, cercare, collegare al fine di offrire una visione dei fatti il più possibile veritiera, vi traspare un soggetto che ha delle convinzioni sue e delle visioni sue e chiare in modo che il lettore possa dialogare, entrare in relazione con lui sapendo con chi ha a che fare. E nasce un rapporto di fiducia, di stima capace di impiantare riflessioni e discussioni aperte a migliori sintesi.

Ci vuole l’informazione che parte dal basso, quella che è il prodotto finale di sensazioni, domande, provocazioni positive e negative che ti vengono dal corpo della vita e ti richiamano alla tua civile responsabilità: perché un cittadino non è una comparsa e la città non è la scenografia di un film scritto e diretto da chissà chi. Giornalista non credo che sia quello che sta seduto in poltrona e la vita gli scorre davanti e lui se la guarda, ci giochicchia attorno con la penna e la considera una merce da confezionare secondo i gusti dei lettori – consumatori e secondo le aspettative degli editori – produttori.

La vita è corporeità, impasto di sangue e sudore, ideali e disillusioni, progetti e realizzazioni, fallimenti e interrogativi. Bisogna viverci dentro rispettandola, comprendendola, interpretandola. Capirne le dinamiche, i blocchi, le morti, le attese. Credo che quello del giornalista sia un mestiere “altro”, il mestiere di chi custodisce l’umanizzante capacità di “rendersi conto” di ciò che accade e saperlo riallacciare sempre alle sue cause e in definitiva alle responsabilità che fanno accadere le cose. Viceversa si vive senza senso critico, ci si lascia vivere, si diventa fatalisti o cinici o rassegnati e senza più sguardo lungo sulla realtà.

Credo che il giornalista sia privilegiato nella intuizione delle dinamiche che sottostanno alla cronaca di ogni giorno e che possa riuscire a “sentire” il polso della storia, individuare la vera natura di accadimenti che ad un passante distratto possono sembrare dettagli senza spessore. La cronaca ti porta all’inchiesta, l’inchiesta ti porta a mettere insieme i brandelli di volti e notizie e alla fine emerge l’analisi e magari la produzione di un libro dove si offre uno spaccato vero di quanto va accadendo.

Questo è un servizio essenziale che una società matura non può che garantirsi, pena la sua caduta nelle mani di chi da sempre la vuole teleguidare, cioè il potere. Altre cose che vorrei dire le rimando ad un’altra volta sennò qualcuno si scoccia e clicca altrove. Tanti auguri ancora a questo tentativo così riuscito di fare giornalismo. Bravo Direttore, Bravi tutti voi e continuate così.

Padre Carlo D’Antoni -ilmegafono.org