Una storia molto intricata, fatta di dichiarazioni, smentite, documenti ritoccati, guerre tra procure, presunti arresti strategici e un forte, fortissimo, “puzzo di compromesso morale” potrebbe presto giungere al suo epilogo. Lo scorso 4 febbraio sono iniziate, nell’aula bunker dell’Ucciardone, le deposizioni di Massimo Ciancimino al processo Stato- mafia, procedimento nel quale lo stesso è testimone e imputato (di concorso esterno, per aver fatto in più occasioni da tramite tra il padre e Bernardo Provenzano). Ciancimino jr, figlio di Vito Ciancimino, ex sindaco-boss di Palermo, ha iniziato a collaborare con la giustizia nell’ormai lontano giugno 2008, raccontando (in più riprese e non senza contraddizioni) episodi che dimostrerebbero la collaborazione tra la mafia e alcuni apparati corrotti dello Stato nei primissimi anni ‘90.

Nell’ottobre 2009, inoltre, ha consegnato ai procuratori Ingroia, Di Matteo e Guidi alcuni documenti riservati appartenuti al padre e molto importanti per le indagini, tra cui il famoso “papello”. Un foglio con annotati 12 punti, 12 ricatti, 12 vergognose condizioni poste dalla mafia allo Stato (che dovrebbe essere sovrano) per interrompere la stagione stragista. Un singolo foglio, eppure dotato di un enorme potere: litri di sangue e lacrime versate, sconforto di tutta l’opinione pubblica e la perdita di dignità di uno Stato che non potrà mai cancellare le proprie vergognose scelte.

Sebbene l’imprenditore, almeno parzialmente vittima delle scellerate scelte del proprio padre, non sia stato l’unico a fornire dettagli importanti sulla trattativa e nonostante le sue dichiarazioni e i documenti da lui forniti non siano stati sempre attendibili, è innegabile che la sua scelta di collaborare abbia dato grande slancio alle indagini e abbia permesso di fare un po’ più di chiarezza su una storia torbida e intricata. Anzi è molto probabile che senza il suo contributo non si starebbe svolgendo il processo che oggi fa tremare la mafia e la sua controparte istituzionale. La consapevolezza dell’importante contributo fornito (un po’ tardivamente) da Massimo Ciancimino alle indagini e quindi alla giustizia, ha portato, durante la commemorazione della strage di Via d’Amelio del 2014, Salvatore Borsellino ad abbracciarlo pubblicamente, attirando su di sé non poche critiche.

“Ho manifestato – ha dichiarato il fratello del giudice antimafia – solidarietà a Ciancimino per le scelte che ha fatto, che paga e pagherà, perché non vuole che il suo cognome pesi sul figlio così come ha pesato su di lui”. “Senza Massimo Ciancimino – ha continuato l’ingegnere che ormai da anni è un volto importantissimo della lotta alla mafia – senza lui che per primo, dalla parte di chi l’aveva vissuto dall’interno come corriere del padre, parlasse della “trattativa”, del ‘papello’, questa sarebbe ancora ‘presunta’, ancora ‘fantomatica’. Ciancimino, se pure nella contraddittorietà della sua collaborazione, ha fatto sì che tanti uomini delle istituzioni che sono stati partecipi di una scellerata congiura del silenzio e che non siedono, ancora, sul banco degli imputati, riacquistassero, dopo venti anni, almeno una parte delle loro memorie sepolte e, forse, dei loro rimorsi”.

Questa stessa consapevolezza rende inaccettabile e pericolosissimo il silenzio mediatico riservato in questi giorni all’inizio delle sue testimonianze. Inaccetabile perchè si tratta del testimone chiave in un processo importantissimo; pericoloso perchè il passato ci ha insegnato che la mafia preferisce agire quando cala il silenzio, a riflettori spenti. Nonostante la scarsa attenzione riservatagli dai media, la prima udienza è stata molto importante, tanto importante da far sospettare a molti dei presenti (inclusi i magistrati?) che il malore avvertito dall’imputato Totò Riina (in video conferenza) fosse più un tentativo di far sospendere almeno temporaneamente le sue deposizioni.

Tra le parti più interessanti della testimonianza, le dichiarazioni del super testimone circa la sussistenza di un accordo tra cosa nostra e istituzioni, in forza del quale nessuno cercava Bernardo Provenzano, il quale era dunque libero di muoversi tranquillamente nel territorio nazionale. Ciancimino, nel rispondere alle domande dei magistrati, ha inoltre dichiarato che il padre, tra il 1976 e il 1977, entrò in affari con un imprenditore milanese: Silvio Berlusconi. Gli affari in questione riguardavano la costruzione di alcune unità abitative a Milano 2, nelle quali, ha aggiunto il testimone, avevano investito anche Bonura, Buscemi, Provenzano e Bontade.

Prima della fine dell’udienza, Ciancimino si è poi soffermato a descrivere i rapporti che intercorrevano tra suo padre e i servizi segreti; una lunghissima collaborazione che sarebbe iniziata negli anni ‘70 (quando fu contattato dalla segreteria dei ministri Restivo e Ruffino) e mai più interrotta. A suo padre sarebbe stato dato infatti l’incarico di veicolare informazioni, di fungere da anello di congiunzione tra le istituzioni e cosa nostra. Nell’ambito di questi rapporti, Ciancimino ha poi delineato una figura strategica: “il signor Franco”, il quale faceva da postino.

“Quando mio padre aveva necessità di comunicare con queste persone – ha dichiarato il testimone – veniva sempre il signor Franco. Arrivava con la macchina blu, parlava con mio padre e se ne andava. Mio padre aveva un numero dove contattarlo. Lo facevo io da una cabina telefonica pubblica”. Ciancimino jr ha inoltre precisato che era proprio questo fantomatico membro dei servizi segreti a fornire spesso a lui e al padre importanti informazioni riservate.

Non resta che aspettare le prossime udienze per vedere dirimersi ancora un po’ la nebbia che aleggia sulla storia recente del nostro Stivale e augurarsi che, una volta per tutte, paghino TUTTI i colpevoli, non solo quelli con “coppola” e “lupara”, ma anche quelli in giacca e cravatta che ancora oggi ci bombardano con slogan politici. L’Italia ha bisogno di un sussulto di dignità e, soprattutto, di legalità.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org