Ogni tanto qualche buona notizia. Sì, perché in un mondo di delocalizzazione e di esportazioni all’estero della produzione, ci sono anche dei dati in controtendenza. Il nostro Paese è, infatti, il primo in Europa e il secondo nel mondo per numero di imprese che hanno iniziato un percorso di reshoring. Come piace agli amici anglosassoni il reshoring è esattamente il contrario dell’offshoring. Ovvero il ritorno a produrre nel paese di origine.

Per ora ci sono Beghelli e Asdomar tra i nomi più illustri. Ma non solo. Il movimento “all’indietro” è un fenomeno non esclusivamente italiano. Principalmente è americano, mentre in Europa l’Italia e la Germania la fanno da padrone. Made in Italy? Possibilità di sfruttare il sinonimo di qualità. Sicuramente. Ma il dato interessante è che non stiamo parlando soltanto di società che operano e producono nei settori “classici” e più famosi del made in Italy. Ma anche elettronica e meccanica spiccano come settori di appartenenza per il reshoring.

Insomma, gli imprenditori tornano indietro (maggiori dati li trovate in questo articolo veramente ben fatto), ma lo fanno di loro spontanea volontà, perché non c’è un piano preciso del governo in questo senso. Non ci sono incentivi (per esempio fiscali) “ a tempo” per invitare a un ritorno alla produzione nello Stivale. Sono fattori come la riduzione della convenienza della manodopera, costi di trasporto (non sempre). Certo che un piano in questo senso aiuterebbe molto. In fondo ci riempiamo la bocca con il made in Italy ma, se manca un progetto, un piano, la voglia di tornare a far investire da queste parti forse sarà solo il frutto dello slancio generoso ed eroico che ci contraddistingue da sempre ma che porta, effettivamente, da poche parti.

I segnali buoni ci sono, basterebbe coglierli. Il dato è molto importante per la consapevolezza che dimostra nel riconoscere un valore aggiunto alla produzione in Italia. Le società sono a scopo di lucro (molto spinto) e se tornano è solo perché, in qualche modo, conviene. La sfida da qui a qualche decennio sarà continuare a “far pagare” a chi compra i nostri prodotti un prezzo più alto per la qualità, l’eccellenza, insomma per il made in Italy. Ma non si può pensare che questo sia un comodo seggiolone su cui riposarsi. La sfida è aperta e tutti siamo coinvolti, così come sono coinvolti tutti gli aspetti “delicati” di questo Paese. Non solo politica, economia, produzione, ma anche ambiente, servizi, trasporti, legalità.

Penna Bianca -ilmegafono.org