La Commissione di inchiesta sulla morte di Emanuele Scieri è finalmente realtà. Approvata il 4 novembre dalla Camera dei Deputati, con voto praticamente unanime (astenuti solo i leghisti). Impossibile rimanere freddi, lucidi, pensare alle difficoltà che la Commissione potrebbe incontrare nella sua attività di indagine, ossia le identiche reticenze e lo stesso muro di omertà che hanno impedito, in fase processuale, l’identificazione degli assassini di Emanuele. L’approvazione in aula è stata una liberazione, uno sciogliersi di brividi, lacrime, un insieme di pugni stretti e roteati in aria, in segno di esultanza. Sedici anni. Ci sono voluti sedici anni per arrivare a questo giorno, a questa data simbolo, la stessa nella quale si celebra la giornata nazionale delle forze armate, quelle che un tempo rimpolpavano le proprie caserme con ragazzi troppo spesso obbligati a subire logiche ignobili, ingoiare obbedienze ridicole, sottostare a pratiche bestiali, umilianti, violente (e fa orrore pensare che gente come Salvini e i suoi parlino di reintroduzione della leva obbligatoria).

Approvata: una parola che, appena un anno fa, sembrava una visione, una chimera, un traguardo irraggiungibile. Troppe insidie, troppi anni di distanza dal tragico accadimento per riuscire a interessare quella parte di opinione pubblica che non sapeva, non ricordava, non aveva vissuto da vicino le ferite, il dolore, la rabbia, il senso di impotenza. Ricordo bene quei giorni di fine agosto dello scorso anno quando, seduti a un bar del centro di Siracusa, l’on. Sofia Amoddio mi diceva che ci si doveva provare, che bisognava creare pressione attorno alla proposta di istituzione della Commissione, che sarebbe stato necessario sensibilizzare tutti i parlamentari, ma soprattutto che bisognava far riemergere il caso, ricordare, raccontare, far capire che sono stati tanti i buchi e le lacune nelle indagini svolte all’epoca dalla magistratura.

Ricordo ancora meglio l’incontro, qualche giorno dopo, con Isabella Guarino, la mamma di Emanuele, in un pomeriggio di sole e afa, nella sua villetta vicino al mare. Era più pessimista che ottimista, mi parlò di suo marito Corrado, di come, fino al suo ultimo giorno di vita, non avesse mai smesso di chiedere giustizia, di lottare affinché non calasse il sipario dell’oblio sulla morte di suo figlio. Isabella, con il suo sorriso gentile, mi raccontò che il ministro Pinotti l’aveva contattata manifestando interesse, mi disse che la proposta parlamentare per l’istituzione della Commissione era una cosa positiva, aggiungendo che tuttavia non era la prima volta che ci si provava e fino ad allora i tentativi non erano andati a buon fine.

Mi accennò anche che molti amici di Emanuele non si erano arresi e pensavano di far qualcosa per ricordarlo e creare nuovamente attenzione sul caso, consapevoli che ciò avrebbe potuto contribuire a dare più forza alla proposta parlamentare. Mi disse che tutto ciò, compreso il fatto che un giornalista fosse lì a intervistarla e a interessarsi della vicenda anche a distanza di 16 anni, costituiva una piccola speranza a cui lei non aveva certo intenzione di rinunciare. Sembra passata una vita, invece sono trascorsi appena quindici mesi da quel pomeriggio. E in mezzo sono passate tante cose: il gruppo facebook degli amici di Lele, con oltre seimila persone iscritte in poche settimane, le iniziative, la raffica di mail mandate a tutti i deputati (nessuno escluso) con la richiesta di firmare la proposta di legge, le manifestazioni, lo striscione “Giustizia per Lele” nuovamente in giro, gli articoli sui giornali locali e nazionali, l’iter parlamentare che superava ogni singola tappa, provocando attesa, timido entusiasmo e assoluta prudenza.

Fino alle 19.40 circa del 4 novembre 2015, quando la speranza è diventata certezza e tutte le tensioni si sono sciolte in mille modi. Ho seguito la diretta della Camera scambiandomi messaggi in tempo reale con gli amici di Emanuele protagonisti di questo anno e mezzo di lotta, commentando con loro ogni parola, le bestialità ipocrite del leghista Pini (ex Folgore), il sì convinto di tutti gli altri partiti, l’intervento intenso e commovente della Amoddio e, infine, il voto, il momento del sì finale. Eravamo tutti lontani e con alcuni non ci conosciamo di persona. Mi è venuta voglia di abbracciarli tutti. E ho pensato che Emanuele, nella sua breve e sfortunata vita, ha avuto una fortuna, quella di avere accanto degli amici veri, ostinati, testardi. Sia quelli che non si sono arresi che quelli che non ci hanno creduto più. E di avere una famiglia meravigliosa.

Ecco, tra i brividi e le lacrime di gioia, il mio pensiero continua ad andare alla famiglia, alla signora Isabella, che oggi forse è un po’ più ottimista, a Francesco, il fratello di Emanuele, e soprattutto a Corrado, il papà, che ha desiderato fino alla fine che avvenisse una cosa simile. Adesso comincia un’altra battaglia, altrettanto difficile, forse anche di più. Ma siamo in tanti a sperare che la verità sia trovata, a crederci, e siamo uniti. Il coro #giustiziaperlele è sempre più vivo e non intende certo fermarsi. Anzi è ancora più forte. D’altra parte, un anno fa sembrava impossibile anche che questo 4 novembre arrivasse. E invece è arrivato. Non è il traguardo, certo, ma un ottimo punto di (ri)partenza che di sicuro ci permette di sognarlo concretamente quel traguardo. Tutti insieme.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org